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Per l’avvocato generale della corte europea, il velo islamico può essere vietato sul luogo di lavoro

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01/06/2016

 Un’azienda belga ha vietato l’uso del velo islamico a una dipendente addetta alla reception sostenendo che sul luogo di lavoro, nell’espletamento dell’attività lavorativa, il datore di lavoro poteva legittimamente impedire quest’ uso che denotava uno schieramento manifesto dell’orientamento religioso. L’uso ostentato dei segni religiosi in azienda era vietato per tutte le religioni, senza distinzione tra loro. Religione islamica, cristiana, cattolica, protestante, buddista, e ogni altra religione erano trattate tutte allo stesso modo. La lavoratrice ha insistito sulla legittimità dell’uso del velo islamico ed ha disobbedito alla disposizione aziendale. L’azienda le ha intimato il licenziamento per violazione dei suoi doveri contrattuali.

 La lavoratrice, che ha vissuto il licenziamento come un atto di grave discriminazione religiosa, si è rivolta al tribunale belga chiedendo il risarcimento dei danni. Dall’autorità giudiziaria belga la controversia si è trasferita alla corte europea dei diritti dell’uomo alla quale è stato chiesto di pronunciarsi sul comportamento aziendale, richiamando la direttiva europea che proibisce qualsiasi discriminazione sul luogo di lavoro sulla base dell’orientamento religioso del lavoratore.

 Il procuratore generale della corte europea, esprimendo il suo parere, ha affermato che non sussiste alcuna discriminazione religiosa perché il divieto di indossare, durante l’orario di lavoro, simboli religiosi  era un divieto generale che valeva per tutti i lavoratori, e per tutte le religioni, senza differenza tra loro. Il datore di lavoro può imporre ai lavoratori una certa riservatezza da osservare sul luogo di lavoro sul loro orientamento religioso. L’insubordinazione della lavoratrice islamica, che aveva insistito  sull’uso del velo nel rendere la sua prestazione lavorativa, non poteva che essere sanzionata con il licenziamento.

 Si attende adesso la decisione della corte europea che, in genere, non si discosta quasi mai dal parere dell’avvocato generale.

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