06/03/2021
Il patto di non concorrenza configura un contratto a titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive, in virtù del quale il datore di lavoro si obbliga a corrispondere una somma di danaro o altra utilità al lavoratore e questi si obbliga, per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, a non svolgere attività concorrenziale con quella del datore.
Dal punto di vista degli interessi meritevoli di tutela regolati dal patto, la Corte di Cassazione ha affermato che le clausole di non concorrenza sono finalizzate, da un canto, a salvaguardare l’imprenditore da qualsiasi "esportazione presso imprese concorrenti" del patrimonio immateriale dell’azienda, trattandosi di un bene che assicura la sua resistenza sul mercato ed il suo successo rispetto alle aziende concorrenti, e, d’altro canto, a tutelare il lavoratore subordinato, affinché le dette clausole non comprimano eccessivamente le possibilità di poter indirizzare la propria attività lavorativa verso altre occupazioni, ritenute più convenienti (da ultimo, Cass. n. 9790 del 2020, conf. a Cass. n. 24662 del 2014).
Proprio perché la regola è che, alla cessazione del rapporto, il lavoratore recuperi la piena ed assoluta libertà di collocare le proprie prestazioni in ogni settore del mercato e della produzione, affinché detta libertà - pur se assoggettabile a condizionamenti in ossequio alla regola dell’autonomia contrattuale - non possa essere limitata in modo tale da compromettere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore, pregiudicandone ogni potenzialità reddituale, il legislatore ha dettato, nell’ambito della generale disciplina ex art. 2596 c.c., in tema di limitazioni (legali o volontarie) alla concorrenza, una specifica regolamentazione che porta a differenziare integralmente il lavoratore subordinato da tutti gli altri soggetti pur essi destinatari del divieto di concorrenza (cfr. al riguardo: art. 1751 bis c.c.; art. 2557 c.c.; artt. 2301 e 2390 c.c.; così Cass. n. 5691 del 2002).I
in ragione di ciò, l’art. 2125 c.c., comma 1, ha subordinato la validità del patto di non concorrenza a specifiche condizioni - espressamente indicate dalla norma - di forma, di corrispettivo, di limiti di oggetto, di tempo e di luogo, presidiando l’eventuale violazione con la più grave delle sanzioni negoziali: la nullità del patto. Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 5540/21; depositata il 1° marzo 2021
Per la difesa davanti ai giudici è consentito produrre anche i documenti personali e riservati
“Giova ribadire che la produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali è sempre consentita ove sia necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare e quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza: dovendo, tuttavia, tale facoltà di difendersi in giudizio, utilizzando gli altrui dati personali, essere esercitata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza previsti dalla L. n. 675 del 1996, art. 9, lett. a) e d), sicché la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza, con le esigenze di difesa.” ( Cass. civ., sez. lav., sent., 12 novembre 2021, n. 33809)