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nella qualificazione del rapporto di lavoro, prevale la realtà effettiva delle modalità della prestazione

La volontà delle parti anche se scritta vale ben poco

Il riferimento al "nomen iuris" dato dalle parti al negozio, risulta di maggiore utilità, rispetto alle altre, in tutte quelle fattispecie in cui i caratteri differenziali tra due o più figure negoziali appaiono non agevolmente tracciabili, non potendosi negare che quando la volontà negoziale si è espressa in modo libero (in ragione della situazione in cui versano le parti al momento della dichiarazione) nonché in forma articolata, sì da concretizzarsi in un documento, ricco di clausole aventi ad oggetto le modalità dei rispettivi diritti ed obblighi, il giudice deve accertare in maniera rigorosa se tutto quanto dichiarato nel documento si sia tradotto nella realtà fattuale attraverso un coerente comportamento delle parti stesse. La valutazione del documento negoziale, tanto più rilevante quanto più labili appaiono i confini tra le figure contrattuali astrattamente configurabili, non può, dunque, non assumere una incidenza decisoria anche allorquando tra dette figure vi sia quella del rapporto di lavoro subordinato. (Nella specie, la S.C., in controversia concernente l'asserita insussistenza di un'omissione contributiva per una rapporto di associazione in partecipazione, qualificato dall'Inps come rapporto di lavoro subordinato, ha cassato con rinvio la decisione della corte territoriale rimarcando la generale portata applicativa del principio valido nell'ambito dell'ampia categoria dei rapporti aventi ad oggetto una prestazione lavorativa, prestata o meno con vincolo di subordinazione, quali i rapporti lavorativi dei soci d'opera, dei soci di cooperativa, i contratti di lavoro autonomo in cui la prestazione lavorativa abbia tratti assimilabili a quelli del lavoro subordinato). 

Cassazione civile sez. lav. 18/04/2007 n. 9264

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