03/11/2014
Il fatto.
Un impiegato bancario deducendo di versare, all'epoca, in uno stato di grave prostrazione psicofisica per i disturbi ansioso-depressivi da cui era affetto ed ascrivibili anche all'ambiente lavorativo in cui aveva operato, convenne in giudizio il datore di lavoro chiedendo l'annullamento delle dimissioni rassegnate per incapacità naturale e la condanna della parte datoriale al pagamento di tutte le retribuzioni spettanti dalla data di risoluzione del rapporto sino alla riammissione in servizio nonché al risarcimento del danno alla integrità psicofisica ascrivibile alla condotta datoriale assunta in relazione alla vicenda risolutiva del rapporto.
Il tribunale respinse la domanda, confermata con sentenza dalla Corte d'Appello. Con ricorso alla Corte Suprema di Cassazione l'impiegato denuncia violazione e falsa applicazione dell'art.428 c.c. nonché insufficienza e contraddittorietà della motivazione.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell'impiegato confermando la sentenza della corte d'appello che aveva correttamente applicato i principi di diritto perché “l'incapacità naturale del dipendente possa rilevare come causa di annullamento delle sue dimissioni, non è necessario che si abbia la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, ma è sufficiente che tali facoltà risultino diminuite in modo tale da impedire od ostacolare una seria valutazione dell'atto e la formazione di una volontà cosciente, facendo quindi venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all'atto che sta per compiere. La valutazione in ordine alla gravità della diminuzione di tali capacità è riservata al giudice di merito e non è censurabile in cassazione se adeguatamente motivata" (vedi, fra le altre, Cass. 10 settembre 2011 n.17977). Nello specifico, così come riportato nello storico di lite, la Corte territoriale ha accertato, alla stregua degli espletati accertamenti medico-legali, che il B. era affetto da una sindrome ansioso-depressiva non definita dall'ausiliare nominato in prime cure, di tale gravità da far venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e da seriamente inibire la sua capacità di valutazione dell'atto, al momento in cui aveva rassegnato le proprie dimissioni.” Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 24 settembre – 28 ottobre 2014, n. 22836
Presidente Roselli – Relatore Lorito.
Dimissioni e maternità
La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.
Le dimissioni con data certa
Dimissioni e abuso del foglio firmato in bianco
Salvo che il fatto costituisca reato, il datore di lavoro che abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto, e' punito con la sanzione amministrativa da euro 5.000 ad euro 30.000. L'accertamento e l'irrogazione della sanzione sono di competenza delle Direzioni territoriali del lavoro.