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Valido il licenziamento se il lavoratore esercita in modo abusivo il diritto di critica.


Un lavoratore, in occasione di tre assemblee pubbliche, ha pronunciato dei giudizi lesivi dell'immagine e del prestigio dell'azienda datrice di lavoro. In particolare aveva denunciato il mancato invio del materiale derivante dalla raccolta differenziata . La società, dopo aver proceduto alla contestazione disciplinare dei fatti, gli intimava il licenziamento per giusta causa. Su ricorso del lavoratore, il tribunale disponeva la sua immediata reintegrazione nel posto di lavoro ritenendo il licenziamento infondato. La corte d'appello, però, su impugnazione dell'azienda, riformava la sentenza dichiarando legittimo il licenziamento.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi, ha ritenuto corretta la sentenza della corte d'appello, che aveva dichiarato legittimo il licenziamento, affermando il seguente principio: 
"L'obbligo di fedeltà, la cui violazione può rilevare come giusta causa di licenziamento, si sostanzia nell'obbligo di un leale comportamento del lavoratore nei confronti del datore di lavoro e va collegato con le regole di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.. Il lavoratore, pertanto, deve astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105 c.c., ma anche da tutti quelli che, per la loro natura e le loro conseguenze, appaiono in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o creano situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi dell'impresa stessa o sono idonei, comunque, a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto stesso (ex plurimis, Cass. 3 novembre 1995 n. 11437). Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, è suscettibile di violare il disposto dell'art. 2105 c.c. e di vulnerare la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel lavoratore un esercizio da parte di quest'ultimo del diritto di critica che, superando i limiti del rispetto della verità oggettiva, si sia tradotto - come è avvenuto nel caso di specie - in una condotta lesiva del decoro della impresa datoriale, suscettibile di provocare con la caduta della sua immagine anche un danno economico in termini di perdita di commesse e di occasioni di lavoro. Una siffatta lesione del carattere fiduciario del rapporto lavorativo va accertata dal giudice di merito con giudizio sindacabile in sede di legittimità unicamente per vizi di motivazione." 
Cassazione - Sezione lavoro - 10 dicembre 2008, n. 2009.
Milano 04 gennaio 2009

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