13/01/2014
Il fatto.
Un cuoco rappresentava di essersi assentato dal lavoro il giorno 22.1.2005 (sabato) e di essere stato sottoposto a visita dal medico curante il successivo 24.1.2005 che gli aveva rilasciato un certificato medico attestante malattia durevole sino all’1.2.2005, certificato inviato alla società datrice di lavoro e all’Inps; che in seguito gli era stata contestata l’assenza ingiustificata di un giorno e la sanzione di un giorno di sospensione e poi gli era stata ancora contestata l’assenza ingiustificata per ulteriori giorni (più di cinque), sul presupposto che era risultato assente vuoi alla visita di controllo domiciliare vuoi alla visita di controllo ambulatoriale da espletarsi rispettivamente in data 25/27.1.2005 e 26/28.1.2005. Addotta la giustificazione di detta assenza (e cioè il fatto di essersi recato durante la malattia presso il domicilio di una cugina onde farsi assistere, nell’ignoranza di essere soggetto all’obbligo di reperibilità per la visita ispettiva), aveva ricevuto comunicazione della sanzione disciplinare espulsiva, adottata con lettera dell’1.2.2005 ai sensi dell’art. 167 c.c.n.l. per i dipendenti di pubblici esercizi che la prevedeva per l’assenza ingiustificata superiore a giorni 5.
Sia il tribunale che la corte di appello hanno ritenuto legittimo il licenziamento.
Il cuoco insoddisfatto della decisione dei giudici di merito ricorreva in cassazione.I principi di diritto.
La cassazione ha confermato il licenziamento affermando i seguenti principi:
“La giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Cass., sez. lav., 13 dicembre 2005, n. 27429) ha da tempo affermato che la giustificazione dell’assenza nelle fasce di reperibilità deve essere fondata su motivi seri che determinano l’impossibilità di osservare l’obbligo di reperibilità e che la violazione dell’obbligo di reperibilità alla visita medica di controllo può giustificare il licenziamento; la valutazione complessiva della gravità dell’infrazione deve tener conto delle violazioni anteriori e delle sanzioni disciplinari inflitte. Cfr. anche Cass., sez. lav., 3 maggio 1997 n. 3837 secondo cui l’assenza del lavoratore dalla propria abitazione durante la malattia – oltre a dar luogo a sanzioni (quali la perdita del trattamento economico) comminate per violazione dell’obbligo di reperibilità facente carico sul lavoratore medesimo durante le cosiddette fasce orarie (art. 5, comma quattordicesimo, d.l. n. 496 del 1983, conv. in legge n. 638 del 1983) – può integrare anche un inadempimento sanzionabile (nel rispetto delle regole del contraddittorio poste dall’art. 7 Stat. lav.) con una sanzione disciplinare, quale il licenziamento disciplinare, ove la condotta del dipendente importi anche la violazione di obblighi derivanti dal contratto di lavoro.
Quindi, al fine della giustificatezza del licenziamento, rileva la violazione di un obbligo, quale quello di reperibilità, che inficia il nesso fiduciario ex se, senza necessità che risulti la falsità della allegazione della malattia.”
Ed ancora. “Nella specie la Corte d’appello ha correttamente preso le mosse in diritto dal principio secondo cui la violazione dell’obbligo di reperibilità durante le fasce orarie previste per le visite mediche ispettive costituisce ragione autonoma e sufficiente non solo per l’applicazione della conseguenza di legge automaticamente connessa (la perdita del trattamento economico, nei limiti previsti dalla cit. legge n. 683 del 1983), ma anche per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari quali il licenziamento.
Quanto alla valutazione della gravità del fatto la Corte d’appello ha osservato che l’inizio del periodo di congedo per malattia (il giorno 22.1.2005) è stato connotato da una riconosciuta indifferenza del lavoratore rispetto all’obbligo di diligenza, atteso che egli non ebbe ad avvisare in alcun modo la datrice di lavoro e neppure si recò quello stesso giorno dal medico per munirsi della opportuna certificazione; indifferenza che aveva una particolare connotazione di gravità stante le mansioni specifiche del lavoratore – quelle di cuoco – che non erano agevolmente fungibili. Aggiunge la Corte d’appello che tutto ciò si saldava poi con la natura della patologia invalidante, successivamente certificata, che non era sicuramente tale da impedire di provvedere alla pronta e tempestiva comunicazione al datore di lavoro del luogo di provvisoria dimora e per dare ragguagli sul luogo di sua pronta reperibilità; ciò che invece il lavoratore omise di fare fino alla data del suo rientro e ciò fino al 2.2.2005.
Osserva anche la Corte che la prolungata ingiustificata assenza del lavoratore non poteva non aver provocato disagi rilevanti per la società, soprattutto a causa della rilevata qualifica specializzata da quello rivestita che implicava specifiche difficoltà di sua sostituzione, specie in termini rapidi e senza preavviso.”
Cassazione – Sezione lavoro 11 febbraio 2008, n. 3226.
Milano 30/03/2008