17/08/2018
La Corte di Appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, ha annullato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a P.E.M.J. con lettera del 14.5.2014 dalla Corindus Service Srl, condannando quest’ultima a reintegrarla nel posto di lavoro ed al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
La Corte territoriale ha premesso in fatto che il licenziamento era stato determinato da una "riduzione di un appalto di pulizie con la committente St Microelectric, che, con riferimento alla pulizia degli stabili denominati (omissis) ed (…), ha ridotto l’appalto di circa 60 ore lavorative settimanali", per cui "il datore di lavoro ha licenziato le due lavoratrici addette in quel momento alla pulizia di quegli immobili".
Ha poi rilevato che "il fatto che la sede produttiva ove la Corindus eseguiva i lavori di appalto delle pulizie fosse unica, anche se frazionata tra i vari palazzi dislocati nell’area circoscritta del complesso aziendale della committente, nonché la costante rotazione del personale sulle prestazioni lavorative e l’assoluta fungibilità delle mansioni e quindi del personale addetto all’appalto rendono di per sé privo di sufficiente funzione individualizzante del lavoratore licenziabile nella persona della Sig.ra P. la riduzione dell’appalto di 60 ore settimanali su 90 lavoratori".
Ha concluso che nella specie, in ossequio al rispetto della regola di cui all’art. 1175 c.c., avrebbe dovuto applicarsi il criterio dell’anzianità aziendale, che invece non era stato rispettato, rendendo illegittimo il licenziamento.
In punto di tutela applicabile la Corte milanese ha ritenuto che "la violazione delle regole di correttezza di cui all’art. 1175 c.c. nella scelta del lavoratore da licenziare spezza il nesso di causa tra il giustificato motivo addotto e il licenziamento della Sig.ra P. e rende, rispetto al suo licenziamento, il fatto posto a base del licenziamento non rilevante, vale a dire manifestamente insussistente".
Contro la sentenza ha proposto ricorso in Cassazione la società datrice di lavoro. La datrice di lavoro ha denunciato che la Corte di Appello avrebbe violato o falsamente applicato l’art. 18, commi 4 e 7, l. n. 300 del 1970, per avere ritenuto manifestamente insussistente il licenziamento, con conseguente applicabilità della tutela reintegratoria. Si argomenta che la circostanza che aveva dato luogo al recesso, cioè la riduzione dell’appalto, era sussistente, sicché non avrebbe dovuto riconoscersi detta tutela reintegratoria.
La cassazione ha affermato che questo motivo merita accoglimento perché: “Non vi è ragione di discostarsi dal principio di diritto già affermato da questa Corte e qui ribadito secondo cui, in tema di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, il nuovo regime sanzionatorio introdotto dalla l. n. 92 del 2012 prevede di regola la corresponsione di un’indennità risarcitoria, compresa tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità, riservando il ripristino del rapporto di lavoro, con un risarcimento fino ad un massimo di dodici mensilità, alle ipotesi residuali, che fungono da eccezione, nelle quali l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento è connotata di una particolare evidenza, sicché la violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta tra lavoratori adibiti allo svolgimento di mansioni omogenee dà luogo alla tutela indennitaria (v. Cass. n. 14021 del 2016; conf. Cass. n. 30323 del 2017 e Cass. n. 1373 del 2018).”
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 marzo – 25 luglio 2018, n. 19732