12/01/2019
Una banca licenzia un suo direttore di agenzia. Dopo il licenziamento gli intima un secondo licenziamento disciplinare perché, quale responsabile di agenzia, aveva dato il suo assenso alla cancellazione di un'ipoteca del debitore nonostante che il debito non fosse stato estinto; egli, inoltre, nonostante la posizione debitoria aveva concesso ulteriori mutui, fidi e agevolazioni creditizie.
Quel direttore di banca così ha subito due licenziamenti, intimato per motivi diversi e in tempi diversi.
Entrambe le controversie sono finite in Cassazione. In occasione della discussione del secondo licenziamento, la vicenda relativa al primo licenziamento si era già definitivamente chiusa con il rigetto di ogni domanda del direttore di agenzia.
La cassazione, esaminado le due due vicende processuali e i due licenziamenti, ha affermato il seguente principio: "il datore di lavoro, qualora abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per una determinata causa o motivo, può legittimamente intimargli un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo. Ne consegue che entrambi gli atti di recesso sono in sé astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente". Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 79/19; depositata il 4 gennaio.
La Cassazione ha affermato un principio che urta contro la logica. La sentenza non è condivisibile perché non si riesce a comprendere come un rapporto di lavoro già risolto dalle parti possa essere risolto una seconda volta. Il principio può aprire la porta a abusi o a attività superflui. Un rapporto di lavoro già risolto non puo essere reiteramente risolto se la prima risoluzione non è ancora venuta meno.