12/02/2018
Un dirigente è stato licenziato da un'azienda con la motivazione della soppressione delle sue funzioni di direttore commerciale. Il dirigente ha impugnato il licenziamento sostenendo che le funzioni di direttore commerciale all'interno di un'attività di impresa non possono essere soppresse ed ha promosso la causa in tribunale. Il datore di lavoro si è costituito tardivamente senza indicare le ragioni che l'avevano indotto ad intimare licenziamento. Il tribunale di Milano (giudice estensore Porcelli) ha rigettato la domanda del lavoratore sostenendo che:
-il licenziamento è stato intimato per la soppressione della posizione lavorativa e non per la soppressione delle funzioni di direttore commerciale;
-La valutazione sulla convenienza della scelta operata dall'impresa è preclusa al giudice che non ha il potere di sindacarla.
Il dirigente licenziato, non soddisfatto della sentenza del tribunale, ha proposto ricorso in appello.
La corte di appello di Milano sul punto ha radicalmente riformato la sentenza del primo giudice affermando che:
-il licenziamento è stato intimato chiaramente per la soppressione delle funzioni di direttore commerciale e non della posizione lavorativa, come si evince dalla stessa lettera di licenziamento;
-l’onere probatorio sulla giustificatezza del licenziamento è in capo al datore di lavoro, questo onere di prova non è stato in alcun modo assolto dal datore di lavoro.
La Corte di appello afferma che l'azienda non ha assolto questo onere a suo carico anche perché si è costituita tardivamente in primo grado incorrendo nelle decadenze e nelle preclusioni istruttorie. Per la Corte, in aggiunta, il datore di lavoro si è costituito "in giudizio depositando una laconica memoria con una generica contestazione degli assunti della controparte".
La corte nella sua motivazione ha continuato affermando "In punto di diritto, come è noto, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato come, ai fini dell’esonero del pagamento della indennità supplementare in favore del dirigente, la nozione di giustificatezza non coincida con quella di giusta causa o di giustificato motivo, rilevando invece qualsiasi ragione non arbitraria e pretestuosa, apprezzabile sul piano del diritto ed idonea a turbare il legame di fiducia con il datore di lavoro .
Pur avendo presente tali principi, ritiene tuttavia la Corte che l’ingiustificatezza del licenziamento, correlata ad una condotta contraria a buona fede del datore di lavoro, possa ravvisarsi in presenza- come nella fattispecie - di un difetto assoluto di prova dei motivi dedotti dal datore di lavoro ". Sentenza numero 1024/2017 pubblicata il 12 maggio 2017, Presidente relatore Dott. Picciau.
Riformando integralmente la sentenza del tribunale, la Corte di appello di Milano ha riconosciuto al lavoratore l'indennità supplementare, di 12 mensilità, pari a circa € 100.000. La sentenza della Corte di appello di Milano, per il suo interesse e per la sua chiarezza, la pubblichiamo nel testo integrale, (sentenza Corte Appello) omettendo le parti in causa. Per consentire una migliore comprensione della controversia e della sua dinamica processuale, pubblichiamo anche la sentenza riformata del tribunale di Milano (sentenza tribunale).