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Il medico denigratore non si salva per la mancata affissione del codice disciplinare

Donna malata e un medico, Jan Steen

 

Un medico, dipendente di una azienda ospedaliera, ha avuto la contestazione di addebito per aver inveito violentemente contro un collega, non aveva partecipato alle visite collegiali della squadra di lavoro ed aveva fornito ad un utente informazioni scorrette ed offensive circa l'esecuzione di un intervento chirurgico da parte di un suo collega. 

 Il Tribunale e la Corte di Appello hanno ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare. La Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi sulla correttezza della sentenza della Corte di Appello su ricorso del medico che lamentava la mancata pubblicazione del codice disciplinare aziendale ha respinto il ricorso del medico affermando che "per le sanzioni espulsive sussiste la necessità della previsione del codice disciplinare per le sole condotte che in relazione alle peculiarità dell'attività o dell'organizzazione dell'impresa possano integrare ipotesi di giusta causa o giustificato motivo oggettivo, per cui la doglianza basata sulla prospettata necessità della pubblicità del codice disciplinare è superata dalla considerazione che nella fattispecie si trattava di violazioni avvertite dalla coscienza sociale quale minimo etico, quali, appunto, il fatto di inveire violentemente contro un collega di lavoro, fornire informazioni denigratorie sull'operato di un collega e non osservare le direttive di lavoro.

Quindi, in tema di sanzioni disciplinari il principio di tassatività degli illeciti non può essere inteso nel senso rigoroso imposto nella materia degli illeciti penali, dovendosi, invece, distinguere tra gli illeciti relativi alla violazione di prescrizioni strettamente attinenti all'organizzazione aziendale, per lo più ignote alla collettività e quindi conoscibili solo se espressamente previste ed inserite nel codice disciplinare da affiggere ai sensi dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970, e quelli costituiti da comportamenti manifestamente contrari agli interessi dell'impresa o dei lavoratori, per i quali non è necessaria la specifica inclusione nello stesso codice disciplinare, poiché, in questi ultimi casi che possono legittimare il recesso del datore di lavoro per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il potere sanzionatorio deriva direttamente dalla legge, (v. ad es. Cass. Sez. lav. n. 18377 del 23.8.2006)."

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 marzo – 17 luglio 2014, n. 16381

Presidente Roselli – Relatore Berrino.

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