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Cuoco licenziato, grasso risarcimento

Impresa licenzia verbalmente un cuoco che lavora da 27 giorni; condannata dal tribunale di Milano ad un risarcimento di 27 mesi di retribuzione. Un piccolo ristorante milanese, verso la fine del 2012, ha assunto alle sue dipendenze un cuoco con una retribuzione mensile netta di euro 2650 e la promessa della stabilità del rapporto di lavoro. Dopo 27 giorni di lavoro il ristorante, senza aver peraltro regolarizzato il  rapporto di lavoro previdenzialmente, ha comunicato  al lavoratore in modo orale il licenziamento immediato. Il lavoratore è rimasto fortemente contrariato da questo inaspettato licenziamento perché su quel posto di lavoro aveva fatto affidamento. Ha deciso così di impugnarlo.

      Il tribunale di Milano nel mese di dicembre 2013, dopo un  anno dall'intimazione del licenziamento, ha dichiarato l'invalidità del licenziamento orale ed ha condannato l'azienda a corrispondere al lavoratore 12 mesi di retribuzione, pari ai mesi di sofferta disoccupazione. Il tribunale ha altresì ordinato al ristorante di reintegrare il cuoco nel suo posto di lavoro con la retribuzione all'epoca pattuita.

       Dopo la pronuncia della sentenza, l'azienda ha invitato il cuoco a riprendere l’attività lavorativa ma il cuoco, non avendo più fiducia nello svolgimento sereno della prestazione lavorativa, ha comunicato all'azienda che in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, che non era più di suo interesse, optava per la corresponsione delle ulteriori 15 mensilità di retribuzione prevista per legge.

       In questo modo quel ristorante, nonostante che alle sue dipendenze occupasse circa 4 addetti, a causa del licenziamento intimato verbalmente, è costretto a dover corrispondere ben 27 mensilità di retribuzione con l'aggiunta dei  contributi previdenziali per un anno.

       Il ristorante contro l'ordinanza del tribunale di Milano non ha proposto opposizione ben consapevole di aver torto.

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