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Esecuzione forzata della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro: un problema aperto

tag  reintegrazione  posto  lavoro 

21/01/2014

La giurisprudenza negli anni ha avuto orientamenti contrapposti


I recenti avvenimenti riguardanti lo stabilimento della FIAT a Melfi, sui quali non sempre l’informazione è parsa puntuale, hanno posto nuovamente all’attenzione dell’opinione pubblica un problema risalente: l’esecuzione forzata della condanna alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
Tre lavoratori del suddetto stabilimento, infatti, hanno ottenuto dal giudice del lavoro un provvedimento di condanna dell’azienda alla reintegrazione nel posto di lavoro, a seguito di un ricorso d’urgenza. La società, però, ha deciso di porre i lavoratori nelle condizioni di esercitare pienamente i propri diritti derivanti dal rapporto di lavoro (ad esempio retribuzione, attività sindacale, ecc.), senza, però, inserire nuovamente i dipendenti interessati nella struttura produttiva dell’impresa. Questa decisione del management della FIAT ha scatenato molte polemiche.
In occasione di tale acceso dibattito, pare opportuno fare un po’ di chiarezza sulla disciplina e sulla giurisprudenza riguardante la reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente licenziato ingiustamente e sulle reali possibilità di eseguire forzatamente tale obbligo a carico dell’azienda.
La possibilità del lavoratore di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro è una delle principali tutele accordate allo stesso dallo Statuto dei Lavoratori, anche se prevista solo per i dipendenti di aziende medio-grandi, che occupano almeno 15 dipendenti nell’unità produttiva all’interno dello stesso comune o 60 dipendenti a livello nazionale.
Questa fondamentale tutela, però, rimane priva della possibilità di essere eseguita forzatamente.
Infatti, in realtà, dalla condanna alla reintegrazione del posto di lavoro derivano due diversi obblighi: un obbligo di dare, consistente nel pagamento della retribuzione e del risarcimento dei danni subiti in seguito al licenziamento, e un obbligo di fare, consistente nella riammissione del lavoratore nella struttura organizzativa aziendale.
La giurisprudenza costante ritiene questo secondo obbligo incoercibile: esso, infatti, consiste in un “comportamento attivo del datore di lavoro insostituibile, non essendo ipotizzabile una sostituzione di altro soggetto all'imprenditore nelle scelte organizzative e funzionali dell'attività produttiva” (Tribunale Milano, 01 dicembre 2006, in Orient. Guir. Lav. 2007, 1, 154). Dunque, l’unico obbligo effettivamente eseguibile forzatamente appare quello del pagamento della retribuzione.
Di conseguenza, appare giuridicamente legittimo il comportamento di un datore di lavoro (nel caso di apecie la FIAT) che, pagando la retribuzione al lavoratore e ponendolo nelle condizioni di esercitare tutti i suoi fondamentali diritti (ad esempio quello di compiere attività sindacale), eviti di inserire il soggetto interessato nell’organizzazione produttiva dell’impresa. Certamente questa problematica lascia molte perplessità e scatena molte polemiche all’interno dell’opinione pubblica, ma la lettura proposta sembra l’unica possibile da punto di vista strettamente giuridico.
Il problema, dunque, pare rimanere del tutto aperto e la soluzione dovrà essere trovata solo dal punto di vista legislativo.
Milano, 26/08/2010

Nella foto: opera di Walter Pozzebon, Asti.

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