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Osservatorio della Giurisprudenza del lavoro dei giudici della Lombardia

Rassegna Settembre 2024

CORTE DI APPELLO DI MILANO

Il danno professionale risarcito con un importo pari al 30% della retribuzione, per ogni mese di dequalificazione subita.

Un’azienda del settore delle telecomunicazioni propone appello contro la sentenza del Tribunale di Milano per aver riconosciuto i danni da dequalificazione asseritamente lamentati dal lavoratore, perché non avrebbe fornito alcuna prova degli elementi richiesti dalla giurisprudenza per la dimostrazione del pregiudizio sofferto in conseguenza di una dequalificazione professionale, ed in concreto: a) dell’esistenza di un comportamento illecito dell’azienda; b) dell’esistenza di un danno; c) del nesso eziologico fra il presunto comportamento aziendale e l’asserito danno. La Corte di Appello ha respinto il gravame perché questa prova del danno professionale può essere fornita, come nel caso in esame, anche “attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, così da risalire alla sua esistenza dalla complessiva valutazione degli elementi dedotti, in particolare da caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno e all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, come pure dalla frustrazione di ragionevoli aspettative di progressione professionale - circostanze fattuali che evocano, rispettivamente, il danno all’immagine professionale ed il danno da perdita di chances - facendo ricorso, ai sensi dell’art.115 c.p.c., alle nozioni generali derivanti dall’esperienza di cui si serve il giudice nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove” .

Per la Corte di Appello di Milano sussiste in capo al lavoratore non solo il dovere, ma anche il diritto all’esecuzione della propria prestazione lavorativa. L’assegnazione a mansioni inferiori costituisce un fatto idoneo a produrre conseguenze dannose non solo di natura patrimoniale, ma anche di natura non patrimoniale, poiché compromette le aspettative di sviluppo della persona nell’ambito della formazione sociale rappresentata dall’impresa.

Conseguentemente, per la Corte di Appello, “la liquidazione in via equitativa del danno operata dal Tribunale, attingendo agli elementi di fatto oggettivamente risultanti dal ricorso, nella misura del 30% della retribuzione mensile per l’intero lungo periodo di durata della dequalificazione dal settembre 2017 al dicembre 2021, pari a oltre quattro anni, è del tutto corretta e condivisibile.” Corte di Appello di Milano sezione lavoro sentenza n. 521 pubblicata il 7 agosto 2024, giudice relatore dott.ssa Monica Vitali.

 Valida la lettera di licenziamento trasmessa dall'azienda in cloud.

La società intima il licenziamento con una comunicazione scritta trasmessa al dipendente attraverso l'applicazione dipendenti in cloud utilizzata dall'azienda per ogni comunicazione di lavoro. Il Tribunale di Milano, prima, e la Corte d'Appello, dopo, hanno ritenuto corretta questa modalità di comunicazione della lettera di licenziamento di cui il lavoratore ha avuto certa e tempestiva conoscenza avendone dato atto in una sua successiva comunicazione all'azienda. Per la Corte di Appello la comunicazione scritta del licenziamento trasmessa al lavoratore era entrata effettivamente nella sua sfera di conoscenza. Corte di Appello di Milano sezione lavoro sentenza n. 647 pubblicata il 3 settembre 2024. Giudice relatore Dottor Picciau. Confermata la sentenza del Tribunale di Milano.

 I dati delle buste non sono veri, l’azienda condannata al pagamento delle ferie falsamente indicate come lavorate.

Il lavoratore contesta di aver effettivamente goduto i giorni di ferie indicati in alcune buste paga sostenendo che, in realtà, in questi giorni aveva prestato normalmente la sua attività lavorativa. In questi giorni aveva ricevuto e inviato ben 302 mail di lavoro, in media circa 10 mail per ogni giornata, rispondendo anche a richieste inviate dal suo superiore gerarchico. La Corte di Appello ritenendo dimostrato lo svolgimento dell'attività lavorativa durante i giorni delle ferie ha riconosciuto al lavoratore il diritto al pagamento di questi giorni poiché nel frattempo il rapporto di lavoro era stato risolto. Corte di Appello di Milano sentenza numero 456 pubblicata il 2 settembre 2024. Giudice relatore Paola Poli. Ad essere stata riformata è una sentenza del Tribunale di Varese.

  TRIBUNALE DI MILANO

 Il patto di prova è nullo se le mansioni non sono indicate in modo preciso.

La lavoratrice ha impugnato il licenziamento assumendo la nullità del patto di prova per mancata indicazione delle mansioni assegnatele. Per il Tribunale il patto di prova è legittimo ove sia specificatamente indicato per iscritto il suo oggetto, costituito dalla puntuale specifica indicazione delle mansioni su cui la prova deve espletarsi. Le mansioni devono essere specificatamente descritte nel contratto di assunzione, senza che possono assumere rilevanza i colloqui riassuntivi o la descrizione delle mansioni contenuta nell'annuncio del lavoro. Nel caso in esame le mansioni sono state semplicemente indicate dall'azienda nella lettera di assunzione con il richiamo del ruolo di account executive-large enterprise senza la possibilità di poter addivenire ad una ricostruzione dei compiti che la lavoratrice avrebbe dovuto svolgere in concreto.

Sentenza Tribunale di Milano numero 3866 pubblicata il 5 settembre 2024 giudice dott.ssa Stefanizzi.

 Unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro.

Accogliendo la domanda del lavoratore licenziato, tutte le società facenti parte dell'unico centro di imputazione del rapporto di lavoro sono state condannate alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno.

Per il Tribunale di Milano ricorre l’unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro quando si registrino: a) l'unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) l'integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune; c) il coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) l‘utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese. Sentenza Tribunale di Milano numero 3689 pubblicata il 6 settembre 2024 giudice Dottor Lombardi.

 La variazione dell'orario di lavoro disposta dell'azienda non è censurabile.

 La lavoratrice, invalida civile, si rivolge al Tribunale assumendo l'illegittimità dell'orario di lavoro assegnato dall'azienda che le generava plurime difficoltà nell'organizzazione dei trasporti e insostenibilità dei ritmi di lavoro. Il Tribunale ha respinto la domanda richiamando il seguente principio: "in materia di variazione dell'orario di lavoro nell'ambito di contratto full time, in assenza di vincoli procedimentali collettivi, la modifica unilaterale dell'orario di lavoro disposta dal datore è espressione dell'esercizio dello ius variandi, quale concreta manifestazione della libertà economica tutelata dall'art. 41 cost., mutamento consentito dagli art. 2086, 2094, 2104 c.c., con la conseguenza che, pur in presenza di una consolidata prassi aziendale, la modifica dell'organizzazione del lavoro fa venir meno il presupposto stesso del diritto acquisito dal lavoratore, e il merito della decisione datoriale sfugge al sindacato giudiziale ai sensi dell'art. 30 comma 1 l. n. 183 del 2010, spettando unicamente al giudice un controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo adottato dal datore di lavoro. In ogni caso, l'eventuale violazione dei canoni comportamentali della correttezza e buona fede da parte del datore di lavoro potrebbe comportare solamente conseguenze di natura risarcitoria e non il ripristino dell'orario di lavoro antevigente”. Tribunale di Milano sentenza numero 3853 pubblicata il 4 settembre 2024. Giudice Dottor Lombardi.

  TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO

 Senza il superamento del comporto, diritto alla reintegrazione piena.

 L'azienda ha licenziato la lavoratrice per superamento del periodo di comporto. In realtà il periodo di comporto non è stato superato perché nei giorni di assenza per malattia non devono essere conteggiati quelli dovuti a Covid. In conseguenza della nullità del licenziamento perché i giorni di assenza non hanno superato il periodo di comporto, deve essere dichiarato il conseguente diritto della lavoratrice ad essere reintegrata nel posto di lavoro con il pagamento della retribuzione persa. Tribunale di Busto Arsizio Sentenza numero 394/2024 pubblicata il 26 agosto 2024, giudice dottoressa Francesca La Russa.

 Nullo il patto di prova ha sottoscritto dopo l'inizio dell'attività lavorativa.

La lavoratrice ha prestato attività lavorativa, senza soluzione di continuità, fin dal mese di aprile 2023. La regolarizzazione previdenziale del suo rapporto di lavoro è avvenuta, però, solo nel successivo mese di maggio 2023 con l'apposizione di un patto di prova. La lavoratrice ha assunto la nullità del patto di prova perché sottoscritto in costanza di un rapporto di lavoro già sorto un mese prima. Il Tribunale di Busto Arsizio ha dichiarato la nullità del patto di prova avendo la lavoratrice lavorato in continuità con l'attività lavorativa precedente, svolgendo le medesime mansioni di cui aveva esperienza quasi decennale. Sentenza Tribunale di Busto Arsizio numero 581 del 26 agosto 2024, giudice dottoressa Francesca La Russa.

 

Il contratto collettivo lo scelgono liberamente le parti

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Niente anzianità di servizio col passaggio dell'appalto

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Spetta al lavoratore provare di aver eseguito ore di lavoro straordinario

08/02/2023 Il lavoratore che ricorre dinanzi all’autorità giudiziaria per far accertare, tra l’altro, l'orario di lavoro effettivamente prestato e la conseguente corresponsione del compenso per il lavoro straordinario, ha l'onere di dimostrare di aver lavorato oltre l'orario normale di lavoro, senza che l'assenza di tale prova possa esser supplita dalla valutazione equitativa del... [Leggi tutto]