26/09/2024
CORTE DI APPELLO DI MILANO
Obbligo della procedura del licenziamento collettivo se, con la cessazione dell'appalto, i lavoratori non sono riassunti dalla nuova impresa subentrante.
Un'impresa appaltatrice del settore delle pulizie perde l'appalto; in conseguenza di questa perdita ha proceduto al licenziamento dei dipendenti assegnati all'appalto che avrebbero dovuto essere assunti dalla nuova impresa appaltatrice subentrante. Il numero dei lavoratori licenziati pacificamente era superiore a cinque; i licenziamenti sono avvenuti tutti nel mese di settembre 2022. Uno di questi lavoratori licenziati ha chiesto alla nuova impresa appaltatrice di essere riassunto. Ma inutilmente. Il lavoratore ha così agito giudizialmente contro l’impresa che ha cessato l’appalto.
Per la Corte di Appello il licenziamento è da ritenersi nullo perché nell'occasione l’impresa cessante, avendo licenziato più di cinque lavoratori nell'arco di 120 giorni, avrebbe dovuto promuovere la procedura collettiva di licenziamento. Questa procedura del licenziamento collettivo non sarebbe stata necessaria solo nel caso in cui l'impresa subentrante nell'appalto avesse proceduto all'assunzione di tutte le maestranze occupate nel precedente appalto.
Dichiarata l'illegittimità del licenziamento, essendo stato il lavoratore assunto in epoca successiva al 7 marzo 2015, l'azienda è stata condannata a pagare un'indennità risarcitoria pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Corte di Appello di Milano sentenza numero 382 pubblicata il 13 giugno 2024. Consigliere relatore dottoressa Giulia Dossi.
Licenziamento giustificato del dirigente.
Per la Corte di Appello di Milano è giustificato il licenziamento del dirigente che in azienda con i dipendenti a lui sottoposti ha tenuto un atteggiamento demotivante, prevaricatore di ruoli e competenze, instaurando un clima tutt'altro che sereno e costruttivo e inutilmente autoritario. Il licenziamento per questi fatti non può sconfinare nella giusta causa ma ben può essere intimato per giustificatezza del motivo soggettivo con il diritto alla corresponsione dell'indennità sostitutiva del preavviso. Il licenziamento è stato intimato per giustificato motivo soggettivo, con diritto all’indennità sostitutiva del preavviso. Sentenza Corte di Appello di Milano numero 470 pubblicata il 13 giugno 2024 consigliere relatore Dottor Giovanni Casella.
CORTE D’APPELLO DI BRESCIA
Anche se il lavoratore non presta l'attività lavorativa, i contributi previdenziali sono sempre dovuti.
L’azienda per abbattere l’imponibile contributivo indicava sulle buste paga che i lavoratori erano stati assenti non retribuiti per gran parte dei giorni del mese. I Lavoratori si sarebbero assentati per motivi familiari e personali, senza rendere così la prestazione lavorativa. In questo modo l'azienda ha evaso i contributi previdenziali per un importo di circa 280.000 €.
La Corte di Appello di Brescia ha respinto l'opposizione dell'azienda che ha contestato la pretesa dell'Inps di avere il versamento dei contributi previdenziali perché "la contribuzione è dovuta anche in caso di assenze o di sospensione concordata della prestazione che non trovino giustificazione nella legge o nel contratto collettivo, bensì in un accordo tra le parti che derivi da una libera scelta del datore di lavoro". I contributi previdenziali sono dovuti all'Inps anche se sono stati concessi in modo legittimo i permessi non retribuiti, senza l’esecuzione della prestazione lavorativa. Corte di Appello di Brescia sezione lavoro sentenza numero 38 dell'11 giugno 2024.
TRIBUNALE DI MILANO
La lettera di licenziamento è un atto recettizio
La comunicazione del licenziamento produce effetto solo dal momento in cui è comunicata al destinatario e non in data precedente. Si tratta di un atto recettizio che produce effetti solo dal momento in cui entra nella sfera di conoscenza del suo destinatario. È del tutto irrilevante, pertanto, la data apposta sulla lettera avendo rilevanza solo la data del suo arrivo entrando nella sfera di conoscenza del lavoratore. Tribunale di Milano sentenza numero 3601 pubblicata il 19 luglio 2024 dott. Di Leo
Il contratto di appalto non è genuino perché l'organizzazione del lavoro e il potere disciplinare sono esercitati dalla committente.
È stata assunta nel 2002 con mansioni di impiegata amministrativa, occupandosi dell'organizzazione delle spedizioni ai clienti e della relativa documentazione amministrativa. Nel 2003 prosegue il rapporto di lavoro con la società alla quale viene affittato il ramo dei servizi logistici; nel 2008, cessato il contratto di affitto, la proprietà dell'azienda esternalizza il servizio assicurando che i lavoratori possono essere licenziati solo per motivi soggettivi. Negli anni successivi subentrano nei contratti di appalto una pluralità di imprese appaltatrici. L'ultima impresa appaltatrice intima alla lavoratrice il licenziamento per giustificato motivo oggettivo che l'interessata ha prontamente impugnato.
Il tribunale di Milano, esaminando le modalità di gestione dell'appalto, ha dichiarato il contratto di appalto non genuino perché la committente, nonostante la formale esternalizzazione, ha sempre continuato ad organizzare le modalità di svolgimento del servizio fornendo anche il software di gestione. I testimoni hanno dichiarato che le direttive quotidiane erano impartite alla lavoratrice dai responsabili della committente che organizzavano le modalità operative del servizio ed esercitavano il potere disciplinare attraverso rimproveri e rilievi. L'impresa appaltatrice non ha mai svolto queste funzioni non avendo avuto, peraltro, nemmeno un responsabile presente in magazzino. L'impresa appaltatrice di fatto non ha sopportato il rischio d'impresa limitandosi semplicemente alla gestione del personale e non allo svolgimento di un servizio.
Dichiarata la non genuinità del contratto di appalto, la lavoratrice è stata reintegrata nel posto di lavoro direttamente alle dipendenze della società committente e non più della falsa impresa appaltatrice. Tribunale di Milano, sentenza numero 2703 del 20 luglio 2024 dott.ssa Capelli.
TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO
Se la lettera di contestazione è generica, il licenziamento è invalido
L'azienda contesta al lavoratore di aver aggredito verbalmente il titolare alzando la voce e mancando di rispetto in presenza di terze persone, abbandonando il posto di lavoro. Il lavoratore si giustifica respingendo la contestazione. L'azienda intima il licenziamento per giusta causa. Il tribunale ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento perché la contestazione disciplinare era generica non avendo specificato il contenuto dell'aggressione verbale nei confronti del datore di lavoro. Trattandosi di un'impresa con meno di 16 addetti, il tribunale ha dichiarato estinto il rapporto di lavoro ma con l'obbligo del datore di lavoro di corrispondere un'indennità pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione con l'aggiunta dell'indennità sostitutiva del preavviso. Sentenza tribunale di Busto Arsizio numero 476 del 4 luglio 2024 giudice dott.ssa La Russa.
TRIBUNALE DI BRESCIA
Farina con gli insetti, licenziamento eccessivo.
Il lavoratore nell'esecuzione della sua attività lavorativa era tenuto a verificare l'eventuale presenza di insetti nelle farine che utilizzava per la preparazione dei mangimi. L'azienda lo ha accusato di aver omesso di segnalare la presenza di insetti nella farina nonostante che ne avesse accertato la presenza. A causa di questa omissione l'azienda aveva proceduto al confezionamento della farina, immettendola nel mercato. Il Tribunale, però, ha ritenuto che la condotta trasgressiva non poteva essere punita con il licenziamento perché sproporzionato per eccesso rispetto all'entità della mancanza addebitata al lavoratore. Non vi è dubbio che il lavoratore sia stato negligente per non aver controllato, come avrebbe dovuto fare, con sufficiente attenzione il prodotto prima di procedere all'apposizione dell'etichetta, ma il suo comportamento non è punibile con il licenziamento. Poiché l'azienda occupava meno di 16 dipendenti, è stata condannata a corrispondere al lavoratore il risarcimento del danno pari a quattro mensilità di retribuzione, senza il ripristino del rapporto di lavoro che così è cessato definitivamente. Tribunale di Brescia sentenza numero 134 pubblicata il 4 aprile 2024. Giudice Chiara Desenzani.
TRIBUNALE DI BERGAMO
Se il datore di lavoro non versa la quota di iscrizione al sindacato, l'organizzazione può agire avanti al Tribunale per ottenerne il pagamento.
Il datore di lavoro trattiene al lavoratore la quota di iscrizione all'organizzazione sindacale ma non provvede al versamento del dovuto. L'organizzazione sindacale agisce in giudizio chiedendo il pagamento contro il datore di lavoro. Il Tribunale, essendo stata fornita prova scritta del credito vantato, ha condannato l'azienda al pagamento delle somme dovute con la soccombenza delle spese di lite. Tribunale di Bergamo sentenza numero 664 del 6 giugno 2024. Giudice dottoressa Giulia Bertolino.
TRIBUNALE DI CREMONA
La trasferta è momentanea, il trasferimento è definitivo.
Se il datore di lavoro sposta il lavoratore da un posto all'altro in via momentanea e del tutto transitoria, non si è in presenza di trasferimento ma di trasferta o missione. La trasferta, contrariamente al trasferimento è libera da ogni vincolo causale perché non richiede la sussistenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive previste dall'articolo 2103 del codice civile. Il trasferimento è stabile e permanente mentre la trasferta no. Il comportamento del datore di lavoro è stato ritenuto legittimo mentre è stato ritenuto inadempiente quello del lavoratore che non si è presentato a prestare la sua opera nel cantiere presso il quale era stato inviato in trasferta. Il licenziamento per giusta causa è stato così ritenuto legittimo.Tribunale di Cremonasentenza numero 185 del 9 giugno 2024. Giudice Maria Marciante.