03/01/2020
Il datore di lavoro contesta al lavoratore la scarsità di rendimento in relazione alla fornitura di un lotto di 30 pezzi e la recidiva in due precedenti condotte che erano state punite con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione. Il tribunale e la corte di appello hanno rigettato l'impugnazione del licenziamento intimato con il preavviso. Ha proposto ricorso in cassazione il lavoratore lamentando la erroneità in diritto delle sentenze hanno statuito sulla legittimità del suo licenziamento disciplinare. La cassazione, decidendo sul ricorso del lavoratore, ha affermato che la sentenza è giuridicamente corretta perché ha rigettato l'impugnazione del licenziamento non in conseguenza di una meccanica applicazione della previsione del contratto collettivo che consentiva il recesso per giustificato motivo soggettivo in presenza di due precedenti sospensioni dal lavoro comminate al lavoratore ma dall'autonoma valutazion dei fatti da parte dei giudici fondata sulla prognosi negativa in ordine al miglioramento dei rapporti e all'aumento di diligenza nell'esecuzione della prestazione da parte del lavoratore. Per la cassazione, sia il tribunale che la corte di appello hanno correttamente escluso "la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell'irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo anche in presenza di previsione collettiva, il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto addebitato".
Le norme del contratto collettivo, che disciplinano l'esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, non vincolano il giudice che, in materia di licenziamento disciplinare, dovrà far sempre riferimento alla nozione di giusta causa così come definita dall'articolo 2119 del codice civile.
Cassazione sez. lav. 28/01/2019, n. 2289.
Nel dipinto: Deucalione e Pirra; da Villa Farnesina, Roma.
Per la difesa davanti ai giudici è consentito produrre anche i documenti personali e riservati
“Giova ribadire che la produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali è sempre consentita ove sia necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare e quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza: dovendo, tuttavia, tale facoltà di difendersi in giudizio, utilizzando gli altrui dati personali, essere esercitata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza previsti dalla L. n. 675 del 1996, art. 9, lett. a) e d), sicché la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza, con le esigenze di difesa.” ( Cass. civ., sez. lav., sent., 12 novembre 2021, n. 33809)