13/10/2015
Il giudizio trae origine dal licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore da parte della società cessionaria presso la quale prestava la propria attività lavorativa. La Corte rilevava che il lavoratore, il 16 marzo 2010, era stato distaccato presso la ricorrente; questa, ricevuta il 15 marzo 2011 comunicazione di una condanna penale dell'impiegato, lo aveva sospeso dal servizio. Successivamente, per effetto di cessione di ramo d'azienda, il lavoratore era passato alle dipendenze della società e, trascorso un breve tempo, la datrice di lavoro aveva contestato la condanna definitiva e lo aveva licenziato.
Con sentenza del 20 marzo 2014, la Corte d'appello di Milano, in riforma della decisione emessa dal Tribunale di Busto Arsizio, accertava la non ricorrenza della giusta causa addotta dalla datrice di lavoro e dichiarava risolto il rapporto di lavoro dalla data del licenziamento, condannando la società al pagamento dell'indennità risarcitoria pari a ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione.
Nel caso di specie, infatti, le azioni addebitate al lavoratore erano state commesse durante lo svolgimento del lavoro di geometra del Comune. Egli, perciò, aveva contestato che tali attività avessero un legame con il lavoro svolto attualmente alle dipendenze della datrice di lavoro; nel corso dello svolgimento dell’attività lavorativa egli non aveva, peraltro, subito richiami disciplinari.
La tesi sostenuta dal lavoratore era, quindi, che la società non potesse addurre alcuna giusta causa o giustificato motivo di licenziamento.
In seguito alla riforma della sentenza di primo grado da parte della Corte d’Appello, ed al ricorso presentato dalla datrice di lavoro alla Corte di Cassazione, il giudice di legittimità ha cassato la sentenza impugnata, disponendo che “non è necessario che il comportamento lesivo sia stato tenuto durante lo svolgimento del rapporto ma può essere sufficiente un fatto che, non ancora conosciuto o non sufficientemente accertato quando il rapporto iniziò, sia divenuto palese successivamente, durante lo svolgimento del rapporto. […]Può anche trattarsi di un illecito commesso durante un precedente rapporto di lavoro, intercorso con altro datore. In tal caso non sarebbe sufficiente che il comportamento fosse connesso alle mansioni assegnate dal datore precedente diverse da quelle attuali, ossia di un comportamento non idoneo a ledere l'affidamento nella capacità professionale attualmente richiesta. Ma diverso è il caso in cui il fatto illecito, di natura penale, incida sulla figura morale del lavoratore e, come nel caso qui in esame, sia previsto dal contratto di lavoro quale causa di licenziamento”.
La Corte ha, quindi, elaborato il principio di diritto per cui “in tema di trasferimento d'azienda, deriva dall’art. 2112 cod. civ. che i mutamenti nella titolarità non interferiscono con i rapporti di lavoro già intercorsi con il cedente, che continuano a tutti gli effetti con il cessionario, con la conseguenza che questi subentra in tutte le posizioni attive e passive facenti capo al cedente. Ne consegue che il cessionario può esercitare i poteri disciplinari inerenti al rapporto di lavoro per fatti precedenti la cessione dell'azienda”
Il licenziamento intimato dal cessionario per giusta causa, per condotte disciplinari rilevanti e relative al rapporto di lavoro già intercorso con il cedente, risulta, quindi, del tutto legittimo.
(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 24 giugno – 9 ottobre 2015, n. 20319)