A- A A+

In azienda i maltrattamenti trattati come se accaduti in famiglia.

L'azienda non deve essere luogo di martirio

La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi su questo fatto: la Corte d'appello di Torino ha assolto il presidente di una società per il reato di lesioni personali e maltrattamenti per presunti reati commessi in danno di una dipendente. Per la corte di appello non sussistono i presupposti del cosiddetto. mobbing sussumibile nella fattispecie prevista dei maltrattamenti in famiglia, facendo difetto il presupposto essenziale della "para-familiarità" che deve caratterizzare il rapporto di lavoro. Contro la decisione della corte di appello ha presentato ricorso in cassazione il Procuratore generale della Repubblica di Torino, lamentando che la Corte di appello ha escluso la sussistenza dei requisiti della para familiarità e della subordinazione del tutto illogicamente.  La corte di cassazione ha riformato la sentenza della corte di appello affermando il seguente quadro normativo "Giova premettere come la fattispecie di maltrattamenti in famiglia, tradizionalmente concepita in un contesto familiare, sia stata nel tempo estesa - ed in tale senso è l'attuale disposto normativo dell'art. 572 cod. pen. - anche a rapporti di tipo diverso, di educazione ed istruzione, cura, vigilanza e custodia nonché a rapporti professionali e di prestazione d'opera. Proprio avendo riguardo a tale ultima categoria di rapporti, questa Suprema Corte ha riconosciuto la possibilità di sussumere nella fattispecie dei maltrattamenti commessi da soggetto investito di autorità in contesto lavorativo la condotta di c.d. mobbing posta in essere dal datore di lavoro in danno del lavoratore, quale fenomeno connotato da una mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti reiterati nel tempo convergenti nell'esprimere ostilità verso la vittima e preordinati a mortificare e a isolare il dipendente nell'ambiente di lavoro, aventi dunque carattere persecutorio e discriminatorio (Cass. Sez. 5, n. 33624 del 09/07/2007, P.C. in proc. De Nubblio, Rv. 237439). Avuto riguardo alla ratio dell'art. 572 c.p. - che si sostanzia quale delitto contro l'assistenza familiare -, affinché la condotta persecutoria e maltrattante del datore di lavoro in danno del dipendente possa essere sussunta nella fattispecie incriminatrice in parola è indispensabile che il rapporto interpersonale sia caratterizzata dal tratto della "para-familiarità": l'ampliamento ad opera della giurisprudenza del perimetro delle condotte che possono configurare il delitto di maltrattamenti anche oltre quello strettamente endo - familiare ha invero lasciato invariata la collocazione sistematica della fattispecie incriminatrice nel titolo dei delitti in materia familiare, di tal che, ai fini della integrazione del reato, non è sufficiente la sussistenza di un generico rapporto di subordinazione/sovra ordinazione, ma è appunto necessario che sussista il requisito della para-familiarità, che si caratterizza per la sottoposizione di una persona all'autorità di un'altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita (anche lavorativa) proprie e comuni alle comunità familiari, non ultimo per l'affidamento, la fiducia e le aspettative del sottoposto rispetto all'azione di chi ha ed esercita su di lui l'autorità con modalità, tipiche del rapporto familiare, caratterizzate da ampia discrezionalità ed informalità. Se così non fosse ogni relazione lavorativa caratterizzata da ridotte dimensioni e dal diretto impegno del datore di lavoro dovrebbe, per ciò solo, configurare una sorta di comunità para-familiare, idonea ad imporre la qualificazione, in termini di violazione dell'art. 572 c.p., di condotte che, pur di eguale contenuto ma poste in essere in un contesto più ampio, avrebbero solo rilevanza in ambito civile con evidente profilo di irragionevolezza del sistema (Cass. Sez. 6, n. 685 del 22/09/2010, P.C. in proc. C, Rv. 249186; Sez. 6, n. 12517 del 28/03/2012, Rv. 252607; Sez. 6, n. 24642 del 19/03/2014, Pg in proc. G, Rv. 260063).

Secondo l'ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. "mobbing") possono dunque integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para - familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, dal formarsi di consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra (rapporto supremazia -soggezione), dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia, e come tale destinatario, quest'ultimo, di obblighi di assistenza verso il primo (da ultimo, Sez. 6, n. 24642 del 19/03/2014, Pg in proc. G., Rv. 260063; Cass. Sez. 6, n. 28603 del 28/03/2013, Rv. 255976). Ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia nell'ambito di un rapporto professionale o di lavoro, è necessario che il soggetto attivo si trovi un una posizione di supremazia, connotata dall'esercizio di un potere direttivo o disciplinare tale da rendere ipotizzabile una condizione di soggezione, anche solo psicologica, del soggetto passivo, che appaia riconducibile ad un rapporto di natura para-familiare. (Fattispecie relativa a condotte vessatorie poste in essere nell'ambito di un rapporto tra un sindaco e un dipendente comunale, in cui la S.C. ha escluso la configurabilità del reato previsto dall'art. 572 cod. pen.) (Sez. 6, n. 43100 del 10/10/2011, R.C. e P., Rv. 251368)."  Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 ottobre – 22 dicembre 2014, n. 53416.

La sentenza della Corte di Cassazione sopra riportata, ovviamente, non esprime un indirizzo univoco della giurisprudenza perché i principi affermati dalla corte di appello la cui sentenza è stata riformata sono  condivisi anche da altri giudici della Corte di Cassazione.

ART. 2110 malattia. In caso di malattia, se la legge non stabilisce forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o una indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali dagli usi o secondo equità.

Nei casi di malattia, l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto, decorso il periodo stabilito dalla legge dagli usi o secondo equità.


Il periodo di assenza dal lavoro per malattia deve essere computato nell'anzianità di servizio.

Malattia e contratto collettivo. Tutti i contratti collettivi prevedono una disciplina particolareggiata della malattia, che si applica ai lavoratori destinatari di quel contratto collettivo. Per conoscere questa disciplina occorre esaminare lo specifico contratto collettivo che si applica al rapporto di lavoro. I contratti collettivi prevedono il trattamento economico spettante al lavoratore nei giorni di assenza  dal lavoro per malattia. 





Periodo di comporto. Con queste parole si definisce il periodo di tempo durante il quale il lavoratore, assente dal lavoro per malattia, conserva il diritto a non essere licenziato. Superato questo limite temporale, il datore di lavoro ha la facoltà di intimare il licenziamento riconoscendo il preavviso. I contratti collettivi prevedono diverse figure di periodo di comporto. Vi sono contratti collettivi molto garantisti per i lavoratori e altri contratti che, invece, danno una garanzia minima  di durata temporale.