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Il mobbing non è reato

Non esiste una espressa norma penale


La Corte di Cassazione, dopo qualche oscillazione, ultimamente ha affermato, in modo chiaro e netto, che " non esiste nel codice penale una espressa norma incriminatrice che sanzioni il c.d. mobbing. La figura di reato maggiormente prossima ai connotati caratterizzanti il mobbing è quella dei maltrattamenti commessi da persona dotata di autorità per l'esercizio di una professione " , disciplinata dall'articolo 572 del codice penale.
Per la Corte di Cassazione perché si possa avere il reato di mobbing occorre che "il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia ".
Quest’affermazione della corte poggia il suo fondamento sul testo dell'articolo 572 del codice penale che punisce "Chiunque, …, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorita', o a lui affidata … per l'esercizio di una professione o di un'arte, e' punito con la reclusione da uno a cinque anni …".
L'articolo sopra richiamato, dal punto di vista sistematico, in modo significativo, è inserito nel nostro codice tra i delitti contro l'assistenza familiare. Alla famiglia, pertanto, occorre far riferimento perché questa figura criminosa possa sussistere. Il luogo di lavoro, come si può ben comprendere, non è una famiglia. Può diventare famiglia sono in casi del tutto particolari quali, ad esempio, il lavoro di una domestica convivente o il lavoro in una impresa familiare da parte di un componente della famiglia. Ma al di fuori di queste figure e di qualche altra specifica figura marginali, famiglia e lavoro non sono due identità che coincidono.
Un lavoratore subordinato nel nostro moderno sistema giuridico, inoltre, non si può affermare che sia sottoposto all'autorità del datore di lavoro. Egli al datore di lavoro è semplicemente legato da un rapporto contrattuale e non d’autorità come se fosse un militare. Il rapporto che lega un lavoratore al datore di lavoro è semplicemente un rapporto direttivo, gerarchico e disciplinare. Il datore di lavoro esercitava nei confronti del lavoratore l'autorità richiamata dal codice penale solo nel sistema corporativo e non certamente nel nostro sistema giuridico. Quest’ autorità mal s'addice al nostro sistema costituzionale e alle forti tutele di cui allo statuto dei lavoratori.
La norma penale sopra riportata, è stata inserita nel nostro ordinamento giuridico dal vecchio codice Rocco del periodo fascista; evidentemente con questa norma, all'epoca, lo Stato intendeva tutelare penalmente prestazioni lavorative che con lo sviluppo economico e produttivo dei decenni successivi sono definitivamente scomparse.
Il mobbing , possiamo così concludere affermando che non è punito penalmente dal nostro codice penale; esso, rappresenta solo un gravissimo inadempimento contrattuale posto in essere dal datore di lavoro che dovrà provvedere al risarcimento dei danni, che ha eventualmente procurato al suo collaboratore. 
Il lavoratore che subisce mobbing non si deve rivolgere al giudice penale ma può promuovere solo una causa civile avanti il tribunale del lavoro.
Milano 08/07/2010

 

 

 

 

 

 

 

La donna nella Grecia classica e dintorni

Da Ippocrate in poi, molte teorie venivano formulate dalla medicina greca a proposito della capacità riproduttiva della donna, ed alcune erano estremamente fantasiose.

Si pensava infatti che l’utero “vagasse” per il corpo femminile se la donna non aveva rapporti e che quindi l’unico rimedio fosse il matrimonio. 

Nel frattempo, alcuni medici consigliavano di legare la donna su una scala a testa in giù e scuoterla finché l’utero non fosse ritornato nella sua sede naturale; oppure, se era arrivato al cervello, si cercava di farlo scendere facendo annusare alla malcapitata sostanze maleodoranti.  E così via.

La donna nubile era considerata con malevolenza all’interno della famiglia, in cui non aveva un ruolo preciso; solo sposandosi, acquisiva uno status sociale consono.

 Anche il pensiero filosofico non era da meno riguardo alla differenza di genere: lo stesso Platone (considerato impropriamente paladino della parità tra maschio e femmina) riteneva che, per la teoria della reincarnazione, se un essere di sesso maschile operava male nella vita si sarebbe ritrovato dopo la morte ingabbiato in un corpo femminile. 

 Ad Atene, pur essendo il matrimonio monogamico, l’uomo poteva avere ben tre donne: la moglie, che gli assicurava la legittimità dei figli, una concubina ed una etera, che lo accompagnava nei banchetti pubblici ed era in grado di conversare di svariati argomenti.  La moglie, anche se non era relegata in casa, non aveva occasione di intessere relazioni sociali, ma era isolata nell’ambito della famiglia, priva di una vera educazione e di possibilità reali di socializzazione.

Anche ai giorni nostri, le donne devono fronteggiare sul lavoro il mobbing e la discriminazione di genere. Non è difficile comprendere perché ciò possa avvenire, considerati anche questi precedenti storici dei nostri antenati scientifici, letterari e filosofici che, pur nella loro cultura, hanno sempre attribuito alla donna un ruolo marginale e di sottomissione.

 

Nella foto: vaso greco che raffigura la nascita di Bacco dalla coscia di Zeus; aspirazione all'autosufficienza maschile. Opera esposta nel museo nazionale archeologico di Taranto.