09/02/2025
Giurisprudenza dei giudici della Lombardia
febbraio 2025
CORTE D'APPELLO DI MILANO: RICONOSCIUTO L'INQUADRAMENTO CORRETTO PER I LAVORATORI CON ANZIANITÀ DI SERVIZIO NEL CAMBIO APPALTO.
La Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 10 dicembre 2024, ha accolto il ricorso presentato da sette lavoratori contro la sentenza del Tribunale di Lodi (n. 188/2024), riconoscendo il loro diritto all’inquadramento nel II livello del CCNL Pulizia Multiservizi, anziché nel I livello, a partire dalla loro assunzione presso la società appaltatrice Controparte_ fino alla cessazione del rapporto di lavoro (31.05.2022).avendo già maturato un’esperienza di oltre 30 mesi nello stesso settore e nello stesso magazzino, inizialmente alle dipendenze della società e poi, a seguito di un cambio di appalto.
Durante questo periodo, i lavoratori avevano sempre svolto le stesse mansioni di facchinaggio e movimentazione merci, utilizzando anche mezzi meccanici leggeri, senza alcuna interruzione tra un appalto e l’altro.
Il Tribunale di primo grado aveva considerato i lavoratori come "di prima assunzione", applicando il I livello del CCNL per i primi nove mesi, come previsto dall’art. 10 del contratto collettivo. Tuttavia, la Corte d'Appello ha ritenuto questa interpretazione errata, sottolineando che il criterio determinante era l'effettiva esperienza lavorativa maturata nel settore e non il solo cambio di datore di lavoro.
Le testimonianze raccolte hanno confermato che gli appellanti avevano operato nello stesso sito logistico, con le stesse mansioni, prima e dopo il cambio di appalto, dimostrando quindi che non potevano essere considerati "neoassunti".
Di conseguenza, la Corte ha stabilito che ai lavoratori spettasse sin dall'inizio l'inquadramento nel II livello del CCNL Pulizia Multiservizi, con il relativo adeguamento retributivo.
QUANDO UN APPALTO NON È GENUINO?
Il Tribunale di Milano ha riconosciuto la non genuinità di un appalto nel settore della logistica, accertando l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato diretto tra il lavoratore e la società committente. Questo caso fornisce un’importante occasione per chiarire quando un appalto può essere considerato illecito e quali sono gli indicatori principali della sua non genuinità.
Cos’è un appalto non genuino?
L'appalto di servizi è legittimo quando l’appaltatore:
Quando questi elementi vengono a mancare, l’appalto può nascondere un’illegittima intermediazione di manodopera, configurandosi come somministrazione illecita di lavoro.
Quando un appalto è illecito? Gli elementi chiave della sentenza
Nel caso esaminato dal Tribunale di Milano, il lavoratore era formalmente assunto da una società appaltatrice ma operava esclusivamente per la società committente . L’istruttoria ha evidenziato diversi fattori che hanno portato alla dichiarazione di non genuinità dell’appalto:
Le conseguenze dell’appalto illecito.
Il Tribunale ha stabilito che l’appalto era una mera interposizione di manodopera, riconoscendo al lavoratore il diritto ad essere considerato dipendente diretto della società committente sin dall’inizio del rapporto.
Questa sentenza conferma che il vero datore di lavoro è colui che esercita il potere direttivo, disciplinare e organizzativo sui lavoratori, a prescindere dai contratti formali. Quando un appalto si riduce a una semplice fornitura di manodopera senza una reale autonomia dell’appaltatore, si configura un’illegittima intermediazione di lavoro, con il conseguente diritto dei lavoratori a essere assunti direttamente dal committente. sentenza Tribunale di Milano N. 5501 PUBBLICATA IL 30/01/2025
LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO: IL TRIBUNALEDI MILANO ACCOGLIE IL RICORSO DEL LAVORATORE IN CONTUMACIA DEL DATORE DI LAVORO.
Il Tribunale di Milano ha dichiarato illegittimo il licenziamento di un lavoratore, condannando l'azienda al pagamento di un’indennità pari a cinque mensilità e delle somme residue a titolo di TFR non corrisposto. La particolarità della decisione sta nel fatto che la società non si è costituita in giudizio, rimanendo contumace e lasciando quindi il ricorso del lavoratore privo di contestazione. Secondo il giudice, spettava al datore di lavoro dimostrare la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo per il licenziamento, nonché provare l’adempimento dei propri obblighi economici, cosa che non è avvenuta. In assenza di difesa, il Tribunale ha accolto la domanda del lavoratore senza necessità di attività istruttoria, evidenziando come la mancata partecipazione del datore di lavoro al processo abbia facilitato la condanna. Questa sentenza sottolinea l’importanza per le aziende di difendersi adeguatamente nei procedimenti giudiziari, poiché la mancata costituzione in giudizio può portare all’accoglimento delle richieste avanzate dai lavoratori senza alcuna possibilità di replica. SENTENZA TRIBUNALEDI MILANO N. 465/PUBBLICATA IL 30/01/2025, giudice dott. Mariani
LICENZIAMENTO NULLO: DIFFERENZA TRA DISCRIMINAZIONE E RAPPRESAGLIA.
Il Tribunale di Milano ha chiarito la distinzione tra licenziamento nullo per discriminazione e licenziamento nullo per rappresaglia (o ritorsivo), due ipotesi spesso confuse ma giuridicamente ben distinte.
Il licenziamento discriminatorio è quello determinato da motivi legati a razza, genere, religione, opinioni politiche, età, disabilità o orientamento sessuale del lavoratore. È nullo a prescindere dalle motivazioni addotte dal datore di lavoro, poiché si basa su un fattore protetto dalla legge, anche se il datore dimostrasse che esistevano ragioni economiche o disciplinari per il licenziamento.
Il licenziamento ritorsivo, invece, avviene quando il lavoratore viene licenziato come reazione a una sua condotta legittima (ad esempio, una denuncia per irregolarità aziendali o la rivendicazione di un diritto). Per essere nullo, il lavoratore deve dimostrare che il motivo ritorsivo è stato l’unico e determinante nella decisione del datore di lavoro.
Nel caso esaminato, il lavoratore sosteneva che il suo licenziamento fosse discriminatorio, in quanto faceva parte di un team di lavoratori stranieri, e ritorsivo, poiché sarebbe derivato da sue segnalazioni sulla gestione aziendale. Tuttavia, il Tribunale ha respinto entrambe le tesi: non è emersa alcuna prova che la decisione fosse motivata dalla nazionalità del lavoratore, né che fosse una vendetta diretta per le sue segnalazioni. Il licenziamento è stato comunque dichiarato illegittimo, ma per mancanza di una giusta causa, poiché i fatti contestati non erano tali da giustificare la risoluzione immediata del rapporto.
LA sentenza conferma che, per ottenere l'annullamento di un licenziamento, è IL lavoratore che deve fornire la prova idonea e rigorosa: : nel caso di discriminazione, il lavoratore deve provare di essere stato licenziato per la sua appartenenza a una categoria protetta, mentre nel caso di ritorsione, deve dimostrare che il licenziamento è stato esclusivamente una punizione per una sua condotta lecita. sentenza Tribunale di Milano pubblicata il 29/01/2025, giudice dott. Julie martini
LAVORO ETERO-DIRETTO E SUBORDINAZIONE: I CHIARIMENTI DEL TRIBUNALEDI BUSTO ARSIZIO.
Il Tribunale di Busto Arsizio ha affrontato il tema del lavoro etero-diretto, chiarendo in quali condizioni esso possa essere equiparato al lavoro subordinato.
La questione nasce dalla richiesta di un lavoratore che, pur senza un formale contratto di lavoro subordinato, sosteneva di aver svolto attività sotto il controllo e la direzione del datore di lavoro, chiedendo il riconoscimento della subordinazione. In subordine, il ricorrente invocava l’applicazione dell’art. 2, comma 1, del D.lgs. 81/2015, che estende la disciplina del lavoro subordinato anche alle collaborazioni etero-organizzate.
Per il Tribunale il lavoro etero-diretto si configura quando un lavoratore, pur essendo formalmente autonomo, opera seguendo le direttive e le istruzioni del datore di lavoro, senza margini di autonomia nell’organizzazione della propria attività. Secondo l’art. 2 del D.lgs. 81/2015, se un lavoratore è stabilmente inserito nella struttura organizzativa dell’azienda e opera con vincoli spazio-temporali imposti dal datore di lavoro, il rapporto deve essere trattato come subordinato.
Tuttavia, il Tribunale ha evidenziato che non basta dimostrare la semplice presenza di direttive aziendali o l’utilizzo di strumenti aziendali: è necessario provare un effettivo assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare dell’impresa.
Nel caso specifico, il lavoratore sosteneva di aver svolto attività continuative e sotto il coordinamento della società. Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto che mancassero elementi concreti per qualificare il rapporto come etero-diretto e, quindi, da considerare subordinato.
Tra gli aspetti cruciali evidenziati dal giudice:
â�� Mancanza di un effettivo potere di controllo da parte dell’azienda sulle modalità di esecuzione del lavoro.
� Assenza di vincoli rigidi su orari e presenza fisica, tipici invece del lavoro subordinato.
â�� Ruolo del lavoratore all'interno di una start-up, ambiente caratterizzato da una gestione più flessibile e collaborativa.
Il Tribunale ha chiarito che il lavoro etero-diretto non si presume, ma deve essere provato con elementi oggettivi che dimostrino una gestione rigida da parte del datore di lavoro. In assenza di questi elementi, il rapporto non può essere ricondotto alla subordinazione, né può beneficiare delle tutele del D.lgs. 81/2015.
Questa sentenza conferma che il concetto di lavoro etero-diretto non può essere applicato automaticamente a ogni rapporto di lavoro senza contratto subordinato. Per far valere un diritto alla subordinazione, è necessario dimostrare che il lavoratore fosse inserito stabilmente nella struttura aziendale, operasse secondo ordini precisi e vincolanti e fosse sottoposto al controllo e al potere disciplinare del datore di lavoro.
Chi ritiene di aver lavorato in condizioni di etero-direzione senza un corretto inquadramento contrattuale deve raccogliere prove concrete, come scambi di email con direttive specifiche, turni di lavoro imposti e testimonianze di colleghi, per poter far valere i propri diritti in giudizio.
sentenza Tribunale di Busto Arsizio n. 118/pubblicata il 29/01/2025 giudice dott.ssa Franca Molinari.
LICENZIAMENTO E OBBLIGO DELLA LETTERA SCRITTA: IL TRIBUNALEDI MILANO CHIARISCE L'INEFFICACIA DELLA SOLA COMUNICAZIONE UNILAV.
Il Tribunale di Milano, , ha ribadito un principio fondamentale in materia di licenziamento: la comunicazione scritta al lavoratore è essenziale, e la sola trasmissione della comunicazione UNILAV al Centro per l’Impiego non è sufficiente a rendere valido il recesso datoriale.
Il caso riguarda un lavoratore che, dopo un periodo di ferie, ha scoperto di essere stato licenziato senza mai ricevere una comunicazione scritta da parte del datore di lavoro. Solo recandosi al Centro per l’Impiego, ha appreso che il suo licenziamento era stato comunicato per giustificato motivo oggettivo con effetto dal 30 giugno 2024.
Tuttavia, non avendo mai ricevuto una lettera di licenziamento, il lavoratore ha contestato la legittimità del recesso e ha chiesto la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno per il periodo in cui era stato illegittimamente estromesso dall’azienda.
Il licenziamento è un atto recettizio, il che significa che produce effetti solo nel momento in cui viene portato a conoscenza del lavoratore. L’art. 2, comma 2, della Legge n. 604/1966 stabilisce chiaramente che il licenziamento del lavoratore deve essere comunicato per iscritto, pena la sua inefficacia.
Nel caso di specie, l’azienda si è limitata a trasmettere la comunicazione di cessazione all’ente pubblico competente (tramite il modello UNILAV), ma non ha mai inviato alcuna lettera al dipendente. Il Tribunale ha quindi confermato che, senza la ricezione di un documento scritto, il licenziamento non può ritenersi valido.
Poiché il licenziamento è stato formalizzato solo con la comunicazione UNILAV, senza un atto scritto rivolto al lavoratore, il Tribunale ha dichiarato l’inefficacia del recesso e ha condannato l’azienda a:
� Reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro, con ripristino delle condizioni contrattuali antecedenti al licenziamento.
â�� Corresponsione delle retribuzioni non percepite dal 17 giugno 2024, data in cui il lavoratore si era formalmente messo a disposizione dell’azienda.
â�� Pagamento di un’indennità risarcitoria, pari almeno a cinque mensilità dell’ultima retribuzione.
� Versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il periodo di illegittima estromissione.
Questa sentenza rafforza un principio giurisprudenziale consolidato: il licenziamento deve essere formalizzato con una lettera scritta e portato effettivamente a conoscenza del lavoratore.
La sola comunicazione agli enti pubblici non è sufficiente e può esporre il datore di lavoro a gravi conseguenze, tra cui l’obbligo di reintegrazione e il pagamento delle retribuzioni arretrate. la decisione è stata pronunciata dal giudice nicola Di Leo. sentenza Tribunaledi Milano n. 391 pubblicata il 29/01/2025.
LICENZIAMENTO COLLETTIVO E ESTERNALIZZAZIONE: LA CORTE D’APPELLO DI MILANO NE CONFERMA LA LEGITTIMITÀ.
La Corte d’Appello di Milano, , ha ribadito la legittimità del licenziamento collettivo anche in caso di esternalizzazione delle attività aziendali. La corte di appello ha respinto l’impugnazione di due lavoratrici, confermando che la scelta dell’azienda di affidare all’esterno alcune funzioni non invalida il recesso collettivo. La corte ha ribadito che l’esternalizzazione deve rispettare la normativa sui criteri di scelta e sulla trasparenza della procedura.
Il datore di lavoro può procedere a una riduzione del personale se vi è una reale esigenza di riorganizzazione e se il processo di selezione dei lavoratori da licenziare avviene in base a criteri oggettivi.
Nel caso esaminato, l’azienda aveva:
-esplicitato nella comunicazione di apertura della procedura i motivi della riorganizzazione, chiarendo che la chiusura del Contact Center comportava la soppressione di tutte le relative posizioni lavorative.
- Adottato criteri di selezione trasparenti e coerenti con la legge, in conformità con l’art. 5 della L. 223/1991, basati su anzianità, carichi di famiglia ed esigenze tecnico-organizzative.
-Raggiunto un accordo sindacale per ridurre il numero di esuberi e mitigare l’impatto sociale della ristrutturazione. La garanzia della correttezza della procedura, infatti, è affidata al controllo sindacale e alla trasparenza delle comunicazioni aziendali.
Questa sentenza conferma un principio fondamentale: un’azienda può legittimamente procedere con licenziamenti collettivi a seguito di una riorganizzazione che comporti l’esternalizzazione di determinate attività, a condizione che la procedura avvenga nel rispetto della normativa e dei criteri di selezione previsti dalla legge.sentenza Corte di appello di Milano n. 1036/ pubblicata il 28/01/2025.
LICENZIAMENTO E VINCOLO DI FIDUCIA: LA SENTENZA DEL TRIBUNALEDI MILANO CONFERMA LA GIUSTA CAUSA.
Il Tribunale di Milano, , ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di un dirigente aziendale, evidenziando come la perdita del vincolo di fiducia sia sufficiente a giustificare l’interruzione immediata del rapporto di lavoro.
Il ricorrente, Direttore Administration & Finance, era responsabile della gestione finanziaria e amministrativa della società e delle sue controllate. La società ha contestato al dirigente l’omesso controllo sulla gestione contabile delle controllate, con la conseguente mancata segnalazione di gravi irregolarità finanziarie.
Dall’audit interno è emerso che il dirigente non aveva rilevato errori contabili significativi, tra cui l’iscrizione errata di beni a bilancio e l’accantonamento improprio di somme ingenti. La società ha quindi ravvisato una grave negligenza nell’esercizio delle funzioni di controllo, che ha compromesso il rapporto fiduciario.
Il Giudice Francesca Maria Claudia Capelli, nel motivare la decisione, ha ribadito che, nel rapporto di lavoro dirigenziale, il vincolo fiduciario è elemento essenziale: la perdita di fiducia rende impossibile la prosecuzione del rapporto, anche solo temporanea.
In questo caso, il Tribunale ha accertato che il dirigente:
ð��¹ Era a conoscenza delle criticità contabili, ma non ha attivato interventi correttivi né segnalato le anomalie.
� Aveva il dovere di verifica sui dati finanziari trasmessi alla capogruppo, ma non ha svolto un controllo effettivo.
ð��¹ Ha omesso di informare gli organi competenti, aggravando la situazione economico-patrimoniale della società.
Secondo il Tribunale, le gravi omissioni del dirigente giustificano il licenziamento in tronco, senza preavviso. La sentenza richiama il principio secondo cui la giusta causa di licenziamento ricorre quando il comportamento del lavoratore è incompatibile con il proseguimento del rapporto e determina una lesione irreparabile del vincolo fiduciario.
Sentenza Tribunale di Milano n. 223 pubblicata il 28/01/2025.
PATTO DI NON CONCORRENZA E SVIAMENTO DI CLIENTELA: IL TRIBUNALEDI MONZA CONFERMA L’INIBITORIA
Il Tribunale di Monza, ha respinto il reclamo presentato da un ex agente finanziario, confermando la validità del patto di non concorrenza e il divieto di sviamento della clientela. La decisione ribadisce principi fondamentali in materia di tutela dell’azienda e concorrenza sleale.
Il ricorrente, agente finanziario, aveva stipulato con la società preponente un contratto di agenzia contenente un patto di non concorrenza post-contrattuale, valido per 12 mesi in alcune regioni del Nord Italia. Dopo aver interrotto improvvisamente il rapporto senza preavviso, l’agente aveva comunicato la sua nuova collaborazione con un’altra banca.
Nelle settimane successive, numerosi clienti a lui assegnati avevano deciso di trasferire i propri investimenti proprio presso l’istituto di credito dove l’agente aveva iniziato a lavorare. La società preponente, ravvisando una violazione del patto di non concorrenza e un illecito sviamento di clientela, aveva ottenuto dal Tribunale un’ordinanza cautelare che vietava all’agente di svolgere attività concorrenziale nei confronti della società per la durata prevista dal contratto.
Il Collegio giudicante ha ribadito alcuni punti chiave:
ð��¹ Validità del patto di non concorrenza – Il patto rispettava i limiti di zona, oggetto e durata previsti dall’art. 1751-bis c.c., prevedendo anche un corrispettivo economico adeguato.
ð��¹ Sviamento della clientela – La perdita di numerosi clienti nell’immediatezza del recesso e il loro trasferimento presso la nuova banca sono stati considerati indizi concreti di una violazione del patto, rafforzati dalle dichiarazioni di testimoni.
ð��¹ Fumus boni iuris e periculum in mora – Il Tribunale ha ritenuto fondate le ragioni della società e ha confermato la necessità di un’inibitoria immediata per prevenire ulteriori danni economici.
Questa ordinanza conferma che il patto di non concorrenza, se correttamente formulato, è pienamente valido ed efficace. Inoltre, evidenzia come il trasferimento massivo e sospetto di clienti possa essere interpretato come un’azione di concorrenza sleale, giustificando l’adozione di misure cautelari per proteggere la società danneggiata.
ordinanza Tribunale di Monza - del 27/01/2025 pubblicata IL 27/01/2025 Presidente rel. Dott.ssa Simona Improta.
TRASFERIMENTO PER ASSISTENZA A FAMILIARE DISABILE: IL TRIBUNALE DI LODI RICONOSCE IL DANNO GRAVE E IRREPARABILE
Il Tribunale di Lodi, con ordinanza del 15 gennaio 2025, ha riconosciuto il diritto di una dipendente pubblica al trasferimento temporaneo presso il Tribunale di Cosenza per assistere lo zio disabile grave, ai sensi dell’art. 33, comma 5, della legge 104/1992. Il giudice ha ritenuto che il rifiuto dell’Amministrazione, basato sul divieto di mobilità previsto dall’art. 15 del D.L. 80/2021 per il personale del PNRR, fosse generico e insufficiente, poiché non supportato da effettive esigenze organizzative. Fondamentale per l’accoglimento del ricorso è stato il riconoscimento del danno grave e irreparabile derivante dalla mancata assistenza al familiare, che dipende totalmente dalla ricorrente per le attività quotidiane. Il danno, di natura non patrimoniale, è stato ritenuto non risarcibile economicamente, in quanto inciderebbe definitivamente sul diritto all’unità familiare e alla cura della persona disabile. Il Tribunale ha quindi ordinato il trasferimento, riaffermando che il diritto all’assistenza prevale sulle esigenze organizzative generiche della Pubblica Amministrazione. Ordinanza resa in sede di ricorso di urgenza il, 15 gennaio 2025 Il Giudice del Lavoro Dott. Francesco Manfredi
LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO PER ASSENZA GIUSTIFICATA DA MALATTIA, ANCHE SE NON COMUNICATA ALL’INPS: IL TRIBUNALEDI PAVIA ORDINA LA REINTEGRAZIONE DEL LAVORATORE.
Il Tribunale di Pavia ha dichiarato illegittimo il licenziamento di un lavoratore, ordinandone la reintegrazione nel posto di lavoro e il pagamento delle retribuzioni arretrate. La decisione si fonda sul riconoscimento della validità della malattia, sebbene il certificato medico fosse stato redatto in lingua francese e trasmesso all’INPS in un secondo momento.
Il lavoratore, impiegato presso un’impresa di servizi di pulizia con contratto a tempo indeterminato, si era recato in Tunisia, suo Paese d’origine, per un periodo di ferie dal 29 maggio al 25 giugno 2023. Durante il soggiorno, il dipendente ha avuto un peggioramento di una patologia cronica agli occhi, derivante da un precedente trapianto di cornea. Il 24 giugno 2023, prima del termine delle ferie, ha quindi ottenuto da un medico tunisino un certificato di malattia con prognosi di 17 giorni, comunicandolo immediatamente via email all’azienda.
Successivamente, constatando il persistere della patologia, il 11 luglio 2023 ha ottenuto un secondo certificato che attestava una prosecuzione della malattia fino al 2 agosto 2023, inviandolo anch’esso all’azienda.
Nonostante la comunicazione della malattia, l’azienda ha contestato l’assenza del lavoratore, sostenendo che:
Di conseguenza, il 12 luglio 2023 l’azienda ha inviato una contestazione disciplinare, sostenendo che il lavoratore risultava assente ingiustificato dal 26 giugno 2023. Nonostante le giustificazioni fornite dal dipendente per il tramite del suo avvocato, il 20 luglio 2023 l’azienda ha licenziato il lavoratore per giusta causa, accusandolo di assenza ingiustificata prolungata per oltre 4 giorni consecutivi (come previsto dall’art. 48 CCNL di settore).
Il giudice del lavoro ha ritenuto il licenziamento illegittimo, accogliendo il ricorso del lavoratore e disponendo la reintegrazione nel posto di lavoro e il pagamento delle retribuzioni arretrate fino alla data della reintegra, con un massimo di 12 mensilità.
In particolare, il Tribunale ha chiarito che:
-Le assenze del lavoratore erano giustificate dalla malattia, come dimostrato dai certificati medici, i quali producono comunque effetti anche se non immediatamente trasmessi all’INPS.
-Il ritardo nella trasmissione all’INPS o la mancanza di traduzione non incidono sulla validità della certificazione medica ai fini del rapporto di lavoro. Tali aspetti potrebbero eventualmente influire solo sull’erogazione dell’indennità di malattia, ma non legittimano un licenziamento.
-Il licenziamento per assenza ingiustificata è stato dunque ritenuto illegittimo, poiché l’assenza del lavoratore era in realtà documentata e comunicata all’azienda nei tempi previsti.
Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: un’assenza per malattia, se adeguatamente certificata, produce i suoi effetti anche se il certificato non è immediatamente trasmesso all’INPS o redatto in una lingua diversa dall’italiano. L’azienda non può licenziare un lavoratore per assenza ingiustificata quando l’assenza è stata regolarmente comunicata e documentata.
Sentenza Tribunale di Pavia n. 589 pubblicata il 27/12/2024 giudice dott.ssa. Oneto
LICENZIAMENTO RITORSIVO: DEFINIZIONE
Il licenziamento ritorsivo rappresenta una delle più gravi violazioni del diritto del lavoro, configurandosi come un recesso datoriale motivato esclusivamente da un intento di ritorsione nei confronti del dipendente. Secondo la giurisprudenza consolidata, per essere qualificato come tale, il licenziamento deve derivare da una finalità esclusivamente vendicativa, senza alcun fondamento oggettivo o disciplinare. La Corte di Cassazione ha stabilito che un licenziamento è ritorsivo quando l’intento punitivo del datore di lavoro è l’unica causa del recesso, escludendo ogni altra ragione giustificativa (Cass. n. 3986/2015, Cass. n. 9468/2019). La prova della ritorsione può essere desunta da un insieme di presunzioni e circostanze fattuali che dimostrano un abuso del potere datoriale. sentenza del Tribunale di Varese. Sentenza n. 15/2025, giudice del Lavoro Federica Cattaneo.