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Anche se consegue la pensione d’anzianità, gli spetta la reintegrazione nel posto di lavoro e la normale retribuzione

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01/03/2024

Il datore di lavoro cedente un ramo di azienda è stato condannato a ripristinare il rapporto di lavoro in conseguenza della illegittimità ed inefficacia della cessione del ramo di azienda; nonostante la pronuncia della sentenza con gli obblighi conseguenti, non vi dà adempimento. Il lavoratore, che nel frattempo ha maturato la pensione, richiede ed ottiene dal Tribunale un decreto ingiuntivo per il pagamento delle retribuzioni dovute in conseguenza della sentenza che ha disposto il ripristino del rapporto di lavoro alle dipendenze dell'azienda cedente. L’azienda cedente, avuta la notificazione del decreto ingiuntivo, ha proposto opposizione ma il Tribunale l’ha respinta mentre la Corte di appello l’ha accolta assumendo che il lavoratore nelle more era divenuto titolare di una pensione di anzianità e che la percezione di questa prestazione ha quale presupposto la cessazione del rapporto di lavoro; conseguentemente nulla al lavoratore era più dovuto a titolo di prestazione lavorativa non ripristinata anche se per unilaterale volontà datoriale.

Il lavoratore ha proposto ricorso in Cassazione sostenendo che nessuna incidenza poteva avere il conseguito trattamento pensionistico di anzianità sui suoi diritti conseguenti alla dichiarazione di illegittimità della cessione del ramo di azienda che ha sancito la prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della società cedente, con il diritto, quindi, a percepire le retribuzioni maturate e quelle maturande.

La Corte di Cassazione, decidendo la controversia, ha accolto il ricorso del lavoratore con questa motivazione: "Questa Corte ha in più occasioni chiarito che il conseguimento della pensione di anzianità non integra una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, atteso che la disciplina legale dell'incompatibilità (totale o parziale) tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale, determinando la sospensione dell'erogazione della prestazione pensionistica, ma non comporta l'invalidità del rapporto di lavoro; né il risarcimento del danno spettante ex art. 18, st. lav. può essere diminuito degli importi che il lavoratore abbia ricevuto a titolo di pensione, in quanto può considerarsi compensativo del danno arrecatogli dal licenziamento (quale "aliunde perceptum") non qualsiasi reddito percepito, bensì solo quello conseguito attraverso l'impiego della medesima capacità lavorativa.

Come questa Corte ha avuto modo di precisare, soltanto un legittimo trasferimento d'azienda comporta la continuità di un rapporto di lavoro che resti unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi; tale circostanza ricorre esclusivamente quando sussistono i presupposti di cui all'art. 2112 c.c., che, in deroga all'art. 1406 c.c., consente la sostituzione del contraente senza consenso del ceduto; da ciò consegue l'unicità del rapporto lavorativo.

In caso contrario, ovvero in caso di illegittimità della cessione, le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell'alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell'obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa; il rapporto col cessionario è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere con il cedente, sebbene quiescente per l'illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale.

Con riguardo poi al conseguimento della pensione di anzianità, deve ribadirsi che tale circostanza non integra una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, atteso che la disciplina legale dell'incompatibilità (totale o parziale) tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale (determinando la sospensione dell'erogazione della prestazione pensionistica o il diritto dell'ente previdenziale alla ripetizione delle somme erogate), ma non comporta l'invalidità del rapporto di lavoro; invero, il diritto a pensione discende dai verificarsi dei requisiti di età e di contribuzione stabiliti dalla legge e non si pone di per sé come causa di risoluzione del rapporto di lavoro, sicché le utilità economiche, che il lavoratore illegittimamente licenziato ne ritrae, dipendono da fatti giuridici estranei al potere di recesso del datore di lavoro, non sono in alcun modo causalmente ricollegabili al licenziamento illegittimamente subito e si sottraggono per tale ragione all'operatività della regola della compensatio lucri cum damno”. Cassazione civile sez. lavoro., 23/11/2023, n.32522.

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