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Rimettere le sentenze sulla consolle del processo telematico

Un patrimonio perso per ragioni oscure

         Sulla consolle del processo telematico, fin della sua creazione, e via via negli anni, sono state pubblicate le sentenze civili dei Tribunali e delle Corti di Appello. Il risultato finale è stato quello di aver creato una sezione molto ricca che, nel tempo, si è accresciuta. La pubblicazione delle sentenze civili ha rappresentato per noi avvocati un'utile fonte di informazione giurisprudenziale alla quale attingere per conoscere l'orientamento non solo dei tribunali e delle Corti d'Appello ma anche di quel singolo giudice o di quel collegio giudicante. Si trattava di una fonte informativa che in passato non ha mai avuto un equivalente, per potenza e completezza. Poter attingere con facilità ed immediatezza a questa fonte proiettava l'attività dell'avvocato in una dimensione moderna che arricchiva le sue conoscenze. Anche i giudici ne traevano vantaggio perché si relazionavano con avvocati sapienti. Grazie a avvocati conoscitori degli orientamenti giurisprudenziali dei singoli giudici sulle varie questioni giuridiche a loro sottoposte, si possono gestire meglio le controversie e anche le soluzioni conciliative.

         Improvvisamente, tutte quelle sentenze civili, caricate nel sistema informatico in tanti anni di lavoro, sono scomparse: letteralmente cancellate dal sistema, non si vedono e non si consultano più. Abbiamo pensato che si trattasse di un momentaneo problema dovuto al cattivo funzionamento del software o dell'hardware. Abbiamo sperato che da un momento all'altro la funzione venisse ripristinata. Sono passati mesi, ma ogni speranza è stata vana. Abbiamo cercato di capire il perché della perdurante assenza della pubblicazione delle sentenze, ma, da chi doveva fornire informazioni, abbiamo avuto risposte con spiegazioni incerte e vaghe. Da ultimo abbiamo appreso che la soppressione di quella intera sezione della consolle del processo telematico dedicata alla pubblicazione delle sentenze civili era dovuta a non meglio specificati problemi di "privacy". Per quanti sforzi intellettivi si possano fare, sinceramente, non abbiamo capito le ragioni del richiamo a questo concetto salvifico della "privacy" che, nel nostro caso concreto, è del tutto fuori luogo. Le sentenze sono pubbliche, lo dice espressamente l'articolo 133 del codice di procedura civile; il sistema del processo telematico consente l'accesso solo agli addetti ai servizi (avvocati muniti di password, personale di cancelleria e giudici). La motivazione della privacy è ancora più risibile e umoristica sol che si pensi che nel contempo la Corte di Cassazione, nel suo sito, accessibile a tutti, pubblica da anni, e per intero, le sentenze con nome e cognome delle parti, con la narrativa dei fatti e delle ragioni della decisione. È ben strano un sistema giuridico che senta l'esigenza di dover tutelare con il richiamo alla privacy la mancata pubblicazione delle sentenze dei tribunali e delle Corti di Appello riservata agli addetti ai lavori, mentre nel contempo, l'organo supremo della giurisdizione, la Corte di Cassazione, dà il massimo di pubblicità alle sue decisioni pubblicandole giornalmente e con adamantina puntualità sul proprio sito Internet. Ha ragione la Corte di Cassazione che pubblica le sue sentenze o chi ha deciso di non pubblicare più sulla consolle le sentenze dei giudici di merito?

        Conoscere la giurisprudenza dei giudici di merito costituisce un enorme e fondamentale contributo alle conoscenze e alla formazione professionale di tutti gli operatori del diritto e contribuisce a semplificare e ridurre il contenzioso giudiziario.

         Chiediamo che quella funzione sia ripristinata per intero e con immediatezza. La conoscenza è ricchezza al servizio della collettività; non può essere umiliata o compressa perché migliora tutti. La pubblicazione è anche espressione di democrazia perché consente il controllo dell'esercizio dell'attività giurisdizionale.

        È stata inviata una petizione al Ministero della Giustizia, all’Ordine degli avvocati di Milano e alle varie associazioni forensi ma senza risultato. Tutto tace.

 

La foto: dalla mostra Idoli, il potere dell'immagine, Venezia Palazzo Loredan.

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“Giova ribadire che la produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali è sempre consentita ove sia necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare e quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza: dovendo, tuttavia, tale facoltà di difendersi in giudizio, utilizzando gli altrui dati personali, essere esercitata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza previsti dalla L. n. 675 del 1996, art. 9, lett. a) e d), sicché la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza, con le esigenze di difesa.” ( Cass. civ., sez. lav., sent., 12 novembre 2021, n. 33809)