22/11/2017
A seguito di numerose assenze per malattia di un lavoratore, l'azienda si rivolge al tribunale del lavoro affinché disponga un accertamento tecnico preventivo mirato a descrivere lo stato di salute del lavoratore, per verificare se questi è o era durante i periodi di astensione dal lavoro affetto da vera infermità. "Il consulente medico avrebbe dovuto specificare quale fosse l’infermità, quali terapie erano state prescritte, se queste erano state effettuate, e se tali patologie erano in grado di incidere sulla capacità lavorativa." Il lavoratore si è costituito in giudizio ma non ha offerto la sua disponibilità a sottoporsi alla visita medico- legale. L'accertamento tecnico preventivo conseguentemente non si è potuto espletare. Il lavoratore, dopo questo suo rifiuto, è stato incolpato dal suo datore di lavoro di essersi reso inadempiente agli obblighi contrattuali non avendo prestato il suo consenso agli accertamenti medici richiesti, rendendo così impossibile la verifica del suo stato di salute. Il suo rifiuto ha aggravato i sospetti sulla insussistenza dello stato di morbilità. Si trattava di 63 giornate di assenza per malattia, con una significativa concentrazione delle giornate di assenza in concomitanza dei fine settimana, alternate a ferie e permessi, con 11 certificati rilasciati da 11 medici diversi. All'esito della procedura di contestazione di addebito, l'azienda ha licenziato il lavoratore per giusta causa. Il tribunale ha ritenuto che il comportamento del lavoratore, che ha rifiutato di sottoporsi all'accertamento tecnico preventivo, doveva essere qualificato come "una rilevante violazione dei doveri di correttezza e buona fede" gravante su di lui. Il controllo disposto tramite la perizia in sede di accertamento tecnico preventivo costituisce una delle forme attraverso cui si può realizzare il controllo sulla malattia. Per il tribunale di Milano non è precluso "al datore di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza." Il lavoratore, per il tribunale, "ha un dovere di adesione che è figlio del generale dovere di leale collaborazione, assistita dai principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ." Tribunale di Milano sentenza n. 2876 pubblicata il 7 novembre 2017, giudice dott. Giorgio Mariani.
Per la difesa davanti ai giudici è consentito produrre anche i documenti personali e riservati
“Giova ribadire che la produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali è sempre consentita ove sia necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare e quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza: dovendo, tuttavia, tale facoltà di difendersi in giudizio, utilizzando gli altrui dati personali, essere esercitata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza previsti dalla L. n. 675 del 1996, art. 9, lett. a) e d), sicché la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza, con le esigenze di difesa.” ( Cass. civ., sez. lav., sent., 12 novembre 2021, n. 33809)