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Il lavoratore assente senza aver dato alcuna notizia per più di un mese, può essere considerato dimissionario: risoluzione per mutuo consenso

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22/04/2016

disciplina applicabile prima dell'entrata in vigore della nuova legge sulle dimissioni

La fattispecie decisa dalla Corte di Cassazione ha ad oggetto la vicenda di un lavoratore, licenziato oralmente dalla società presso la quale prestava la sua attività lavorativa, dopo essere stato assente per oltre un mese, senza dare notizie di sé e senza produrre certificazione medica, a causa di un intervento chirurgico. Il lavoratore, pertanto, aveva chiesto ed ottenuto dal Tribunale l’accertamento dell’inefficacia del licenziamento intimatogli. Proposto appello da parte dell’azienda, i giudici di secondo grado riformavano parzialmente la sentenza di primo grado, respingendo la domanda di inefficacia del licenziamento, sulla base del presupposto che la condotta del lavoratore fosse riconducibile ad un’ipotesi di risoluzione del contratto per mutuo consenso, quindi alla manifestazione di volontà del ricorrente di dismettere la propria posizione di lavoro, che aveva ingenerato - secondo i principi generali di correttezza e buona fede - un legittimo affidamento della parte datoriale circa il mancato ripristino del rapporto.

Contro tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso in Cassazione. Ai fini della decisione della controversia in esame, la Suprema Corte, richiamando principi consolidati in giurisprudenza, ha rilevato, in particolare, che “il comportamento - interpretato alla luce dei principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. - del contraente titolare di una situazione creditoria o potestativa, che per lungo tempo trascuri di esercitarla e generi così un affidamento della controparte nell'abbandono della relativa pretesa, è idoneo come tale (essendo irrilevante qualificarlo come rinuncia tacita ovvero oggettivamente contrastante con gli anzidetti principi) a determinare la perdita della medesima situazione soggettiva (vedi Cass. 28-04-2009 n. 9924)”. Per la Cassazione, quindi, appare corretta la sentenza impugnata che ha ritenuto “rilevante l'inerzia del lavoratore il quale, dopo l'intervento chirurgico al quale deduce di esser stato sottoposta, ha lasciato trascorrere un mese prima di rientrare al lavoro, senza inviare alla parte datoriale alcuna certificazione sanitaria concernente le proprie condizioni fisiche, né comunicare oralmente alcuna notizia al riguardo, in tal guisa ingenerando nel datore di lavoro, un ragionevole affidamento in ordine alla volontà del dipendente di non dare seguito al rapporto”.

Il ricorso del lavoratore, pertanto, è stato respinto dalla Suprema Corte, che ha ritenuta legittima la cessazione del rapporto di lavoro. (Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 dicembre 2015 - 8 aprile 2016, n. 6900).

 N. B. Questa sentenza ha statuito su fatti risalenti ad epoca ben antecedente al 2012, data di entrata in vigore della prima legge che ha disciplinato  le dimissioni del lavoratore (per iscritto e su documento di data certa). Se i fatti della sentenza fossero avventi dopo il 2012 la decisione della corte di cassazione sarebbe stata ben diversa perché diversa la normativa  da applicare.

Le dimissioni per giusta causa.
Il lavoratore può presentare le dimissioni immediate, per giusta causa, senza concedere al datore di lavoro il preavviso previsto dalla legge e dal contratto collettivo.Le dimissioni per giusta causa si presentano se il datore di lavoro si renda inadempiente ai suoi obblighi contrattuali; l'inadempimento è configurabile, innanzitutto, nella mancata corresponsione della retribuzione o dei vari istituti di natura economica previsti dal contratto di lavoro. Si possono presentare le dimissioni per giusta causa anche in presenza di mobbing o di inosservanza delle misure di sicurezza e antinfortunistiche. L'inadempimento del datore di lavoro deve essere di un certo valore. Il mancato versamento dei contributi previdenziali non è stato ritenuto motivo per la presentazione delle dimissioni per giusta causa perché il datore di lavoro è obbligato a questi pagamenti nei confronti di un soggetto terzo e non direttamente nei confronti del lavoratore anche se ne è il beneficiario. La lettera di dimissione deve indicare in maniera specifica il motivo della presentazione delle dimissioni. Se le dimissioni sono state correttamente presentate, il lavoratore ha diritto ad avere il pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso; in caso contrario questo diritto spetta al datore di lavoro, che potrà trattenere direttamente a l'importo dalla busta paga.

Dimissioni e maternità

La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.

Le dimissioni con data certa

L'efficacia delle dimissioni della lavoratrice o del lavoratore e della risoluzione consensuale del rapporto e' sospensivamente condizionata alla convalida effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l'impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale.
In alternativa alla procedura di cui al comma 17, l'efficacia delle dimissioni della lavoratrice o del lavoratore e della risoluzione consensuale del rapporto e' sospensivamente condizionata alla sottoscrizione di apposita dichiarazione della lavoratrice o del lavoratore apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro.
Nell'ipotesi in cui la lavoratrice o il lavoratore non proceda alla convalida ovvero alla sottoscrizione della comunicazione, il rapporto di lavoro si intende risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva, qualora la lavoratrice o il lavoratore non aderisca, entro sette giorni dalla ricezione, all'invito a presentarsi presso le sedi di cui al comma 17 ovvero all'invito ad apporre la predetta sottoscrizione, trasmesso dal datore di lavoro, tramite comunicazione scritta, ovvero qualora non effettui la revoca.
 La comunicazione contenente l'invito, cui deve essere allegata copia della ricevuta di trasmissione, si considera validamente effettuata quando e' recapitata al domicilio della lavoratrice o del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dalla lavoratrice o dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero e' consegnata alla lavoratrice o al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta.
Nei sette giorni, che possono sovrapporsi con il periodo di preavviso, la lavoratrice o il lavoratore ha facolta' di revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale. La revoca puo' essere comunicata in forma scritta. Il contratto di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca. Per il periodo intercorso tra il recesso e la revoca, qualora la prestazione lavorativa non sia stata svolta, il prestatore non matura alcun diritto retributivo. Alla revoca del recesso conseguono la cessazione di ogni effetto delle eventuali pattuizioni a esso connesse e l'obbligo in capo al lavoratore di restituire tutto quanto eventualmente percepito in forza di esse.
Qualora, in mancanza della convalida ovvero della sottoscrizione, il datore di lavoro non provveda a trasmettere alla lavoratrice o al lavoratore la comunicazione contenente l'invito entro il termine di trenta giorni dalla data delle dimissioni e della risoluzione consensuale, le dimissioni si considerano definitivamente prive di effetto.

Dimissioni e abuso del foglio firmato in bianco

Salvo che il fatto costituisca reato, il datore di lavoro che abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto, e' punito con la sanzione amministrativa da euro 5.000 ad euro 30.000. L'accertamento e l'irrogazione della sanzione sono di competenza delle Direzioni territoriali del lavoro.