08/01/2016
La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso dal dipendente di un istituto di credito, assunto con inquadramento al livello di dirigente bancario. In seguito, il settore di attività al quale era addetto il ricorrente veniva chiuso e l’istituto avviava delle trattative con i lavoratori addetti per arrivare ad uno scioglimento consensuale incentivato dei rapporti di lavoro. Il ricorrente deduceva di aver ricevuto offerte d’incentivazione all’uscita e di averle rifiutate perché insufficienti e di essersi, quindi, dimesso per giusta causa: pertanto, conveniva in giudizio la società datrice al fine di ottenere il pagamento di somme a titolo di competenze di fino rapporto e risarcimento del danno. Nei primi due gradi di giudizio, le domande del lavoratore venivano respinte. I giudici di merito, sul presupposto della soppressione delle posizioni di lavoro relative al dipendente, ritenevano l’insussistenza della giusta causa delle dimissioni rassegnate dal dipendente. In particolare, la Corte territoriale riteneva che la situazione descritta integrasse la nozione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. In riforma della sentenza d’appello, il dipendente ha proposto ricorso per cassazione.
In proposito, la Suprema Corte ha ritenuto congruo il ragionamento con il quale i giudici di merito hanno escluso che le dimissioni del ricorrente siano assistite da giusta causa, la quale presuppone la sussistenza di un grave inadempimento in capo al datore di lavoro; per tale ragione, il comportamento della società datrice di lavoro non configura inadempimento, ma integra, piuttosto, la nozione di giustificatezza del licenziamento per motivi oggettivi. Il giudice di legittimità, quindi, ha rilevato che “il controllo giurisdizionale delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato deve essere diretto ad accertare che vi sia corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell'impresa, non può essere dilatato fino a comprendere il merito della scelta operata dall'imprenditore; quest'ultima, inoltre, non deve presentare necessariamente i caratteri dell'inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una delle possibili scelte, tutte ragionevoli, che il datore di lavoro può adottare sul piano tecnico, organizzativo e produttivo”.
Sulla scorta di tali rilievi, la Cassazione ha escluso che la sottrazione di mansioni radicale ed in via definitiva costituisca giusta causa di recesso, rigettando il ricorso proposto dal dipendente.
(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 settembre – 17 dicembre 2015, n. 25384)
Nella foto: opera di Ampello Tettamanti, Operai di Milano, 1955, olio su tela.
Dimissioni e maternità
La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.
Le dimissioni con data certa
Dimissioni e abuso del foglio firmato in bianco
Salvo che il fatto costituisca reato, il datore di lavoro che abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto, e' punito con la sanzione amministrativa da euro 5.000 ad euro 30.000. L'accertamento e l'irrogazione della sanzione sono di competenza delle Direzioni territoriali del lavoro.