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Il concorso di colpa del lavoratore nell’infortunio subito non esclude la responsabilità del datore di lavoro

Si riduce la misura del risarcimento

La decisione della Corte di Cassazione che si riporta trae origine da un infortunio sul lavoro, in conseguenza del quale si verificò la morte del lavoratore coinvolto. Un congiunto della vittima propose, quindi, richiesta di risarcimento dei danni patiti a seguito dal decesso, dapprima davanti al Tribunale, poi, in seguito alla decisione negativa del giudice di primo grado, alla Corte d’Appello. Anche tale organo, tuttavia, respinse la domanda del ricorrente. Nel giudizio d’appello, infatti, venne ritenuto che il mancato utilizzo, da parte del lavoratore, della fune di trattenuta, che pure era disponibile alla sommità della scarpata ove il medesimo stava operando, rappresentava un comportamento anomalo ed imprevedibile tale da escludere la sussistenza di un nesso causale tra l'obbligo datoriale di vigilanza e l'evento mortale accaduto. A fronte di tale decisione, il congiunto della vittima propose ricorso davanti alla Corte di Cassazione.

Il giudice di legittimità ha deciso che “il datore di lavoro, in caso di violazione della disciplina antinfortunistica, è esonerato da responsabilità soltanto quando la condotta del dipendente abbia assunto i caratteri dell’abnormità, dell’imprevedibilità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute”. Qualora non ricorrano i sopra elencati caratteri della condotta del lavoratore, l’imprenditore è quindi  integralmente responsabile dell’infortunio, dal momento che il datore di lavoro è tenuto a proteggerne l’incolumità nonostante la sua imprudenza e negligenza. Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono finalizzate alla tutela del lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli conseguenti ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso. Ne deriva che “il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia che ometta di adottare le idonee misure protettive, sia che non vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi effetto esimente all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, «la cui condotta può comportare, invece, l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo tipico ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento”. Nella fattispecie, la colpa da parte del lavoratore “non rappresentava affatto un evento imprevedibile atto a scagionare l'imprenditore dal dovere di vigilanza finalizzato al rispetto delle misure di prevenzione e, pertanto, quest'ultimo avrebbe dovuto offrire la prova di aver preteso il rispetto di tale fondamentale accorgimento, per cui il comportamento semplicemente omissivo del lavoratore non spezzava il nesso eziologico tra l'evento occorsogli e l'omissione della datrice di lavoro”.

La Corte di Cassazione, quindi, ha accolto il ricorso del congiunto della vittima, riformando integralmente la decisione del giudice di merito.

(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 22413/15; depositata il 3 novembre)

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