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Illecito penale commesso alle dipendenze del cedente dell’azienda: l’acquirente può licenziare per giusta causa

Il giudizio trae origine dal licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore da parte della società cessionaria presso la quale prestava la propria attività lavorativa. La Corte rilevava che il lavoratore, il 16 marzo 2010, era stato distaccato presso la ricorrente; questa, ricevuta il 15 marzo 2011 comunicazione di una condanna penale dell'impiegato, lo aveva sospeso dal servizio. Successivamente, per effetto di cessione di ramo d'azienda, il lavoratore era passato alle dipendenze della società e, trascorso un breve tempo, la datrice di lavoro aveva contestato la condanna definitiva e lo aveva licenziato.

Con sentenza del 20 marzo 2014, la Corte d'appello di Milano, in riforma della decisione emessa dal Tribunale di Busto Arsizio, accertava la non ricorrenza della giusta causa addotta dalla datrice di lavoro e dichiarava risolto il rapporto di lavoro dalla data del licenziamento, condannando la società al pagamento dell'indennità risarcitoria pari a ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione.
Nel caso di specie, infatti, le azioni addebitate al lavoratore erano state commesse durante lo svolgimento del lavoro di geometra del Comune. Egli, perciò, aveva contestato che tali attività avessero un legame con il lavoro svolto attualmente alle dipendenze della datrice di lavoro; nel corso dello svolgimento dell’attività lavorativa egli non aveva, peraltro, subito richiami disciplinari.
La tesi sostenuta dal lavoratore era, quindi, che la  società non potesse addurre alcuna giusta causa o giustificato motivo di licenziamento.

In seguito alla riforma della sentenza di primo grado da parte della Corte d’Appello, ed al ricorso presentato dalla datrice di lavoro alla  Corte di Cassazione, il giudice di legittimità ha cassato la sentenza impugnata, disponendo che “non è necessario che il comportamento lesivo sia stato tenuto durante lo svolgimento del rapporto ma può essere sufficiente un fatto che, non ancora conosciuto o non sufficientemente accertato quando il rapporto iniziò, sia divenuto palese successivamente, durante lo svolgimento del rapporto. […]Può anche trattarsi di un illecito commesso durante un precedente rapporto di lavoro, intercorso con altro datore. In tal caso non sarebbe sufficiente che il comportamento fosse connesso alle mansioni assegnate dal datore precedente diverse da quelle attuali, ossia di un comportamento non idoneo a ledere l'affidamento nella capacità professionale attualmente richiesta. Ma diverso è il caso in cui il fatto illecito, di natura penale, incida sulla figura morale del lavoratore e, come nel caso qui in esame, sia previsto dal contratto di lavoro quale causa di licenziamento”.

La Corte ha, quindi, elaborato il principio di diritto per cui “in tema di trasferimento d'azienda, deriva dall’art. 2112 cod. civ. che i mutamenti nella titolarità non interferiscono con i rapporti di lavoro già intercorsi con il cedente, che continuano a tutti gli effetti con il cessionario, con la conseguenza che questi subentra in tutte le posizioni attive e passive facenti capo al cedente. Ne consegue che il cessionario può esercitare i poteri disciplinari inerenti al rapporto di lavoro per fatti precedenti la cessione dell'azienda

Il licenziamento intimato dal cessionario per giusta causa, per condotte disciplinari rilevanti e relative al rapporto di lavoro già intercorso con il cedente, risulta, quindi, del tutto legittimo.

 

(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 24 giugno – 9 ottobre 2015, n. 20319)

Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi

Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).

 La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.

 L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003). 

ARTICOLO 2119 codice civile. Recesso per giusta causa. Il datore di lavoro o il lavoratore  possono recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità sostituiva del preavviso.

ART. 18 dello statuto dei lavoratori. Tutela del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare illegittimo. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.

ARTICOLO 2118 codice civile. Recesso dal contratto a tempo indeterminato. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità.

In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

 

Art. 18 dello statuto dei lavoratori : licenziamento illegittimo ma con il solo diritto ad una indennità risarcitoria, senza reintegrazione nel posto di lavoro. Il giudice, nelle altre  ipotesi (il fatto sussiste ed è stato commesso dal lavoratore) ma in cui accerta che non ricorrono comunque gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.