A- A A+

Licenziamento per ritorsione: fondamentale l’applicazione dei principi comunitari

Nel caso in esame, un lavoratore ha impugnato il licenziamento intimato per giusta causa, qualificandolo come ritorsivo e comunque illegittimo. In particolare, il lavoratore aveva predisposto e consegnato ad uno dei consiglieri di amministrazione della società, su sua richiesta, una relazione contenente accuse di infedeltà patrimoniale e critiche all’operato dei vertici della società, i quali hanno, quindi, addebitato al lavoratore un comportamento specifico di infedeltà, ritenendo le accuse mosse false e gravemente denigratorie. In riforma parziale della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello di Milano non ha ravvisato la sussistenza del carattere ritorsivo del licenziamento, ritenendolo comunque illegittimo e riconoscendo al lavoratore, peraltro, il risarcimento del danno ulteriore per le modalità ingiuriose di adozione del licenziamento: l’azienda, infatti, aveva inviato a duecento soggetti, con i quali la società era in contatto, una missiva con l’anticipazione dell’imminente licenziamento del ricorrente.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore. La Suprema Corte, in particolare, ha stabilito che “l'esclusione del carattere ritorsivo del licenziamento sia stata il frutto di un evidente errore di diritto, in quanto la Corte ambrosiana, sulla base di una definizione del licenziamento ritorsivo del tutto "originale" e priva di riscontri normativi e/o giurisprudenziali, non ha adeguatamente valorizzato gli elementi della fattispecie dai quali, inequivocamente, si desume il carattere ritorsivo del recesso.
In tal modo la Corte territoriale si è discostata dai consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte, secondo cui:
a) il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta — assimilabile a quello discriminatorio — costituisce l'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona ad esso legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullità del licenziamento, quando il motivo ritorsivo sia stato l'unico determinante e sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche con presunzioni (Cass. 8 agosto 2011, n. 17087);
b) il divieto di licenziamento discriminatorio — sancito dall'art. 4 della legge n. 604 del 1966, dall'art. 15 della legge n. 300 del 1970 e dall'art. 3 della legge n. 108 del 1990 - è suscettibile di interpretazione estensiva sicché l'area dei singoli motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione o rappresaglia, che costituisce cioè l'ingiusta e arbitraria reazione, quale unica ragione del provvedimento espulsivo, essenzialmente quindi di natura vendicativa, essendo necessario, in tali casi, dimostrare, anche per presunzioni, che il recesso sia stato motivato esclusivamente dall'intento ritorsivo (Cass. 18 marzo 2011, n. 6282, in senso analogo: Cass. 27 febbraio 2015, n. 3986)”.

In più, per la Cassazione, il giudice d’appello non ha neppure considerato il lungo processo evolutivo che l’ordinamento comunitario ha avuto nel corso degli anni in materia di diritto antidiscriminatorio ed antivessatorio, nei riguardi, specialmente, dei rapporti di lavoro e del licenziamento per ritorsione. Questo sviluppo ha portato, nel corso del tempo e principalmente per effetto del recepimento di direttive comunitarie, alla conseguenza che “anche nel nostro ordinamento condotte potenzialmente lesive dei diritti fondamentali di cui si tratta abbiano ricevuto una specifica tipizzazione - pur non necessaria, in presenza dell'art. 3 Cost. - (Corte cost. sentenza n. 109 del 1993) - come discriminatorie.”

Per la Suprema Corte, il carattere vendicativo del licenziamento è dimostrato ictu oculi dalla coincidenza tra i soggetti destinatari della relazione negativa predisposta dal lavoratore e coloro che hanno irrogato il licenziamento, oltretutto con modalità ingiuriose come ha riconosciuto la stessa Corte d'appello.

Per tali motivi, riconoscendo nella fattispecie un licenziamento per ritorsione, la Suprema Corte ha condannato la società alla reintegra del lavoratore ed al risarcimento del danno. (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 29 settembre – 3 dicembre 2015, n. 24648)

Nella foto: opera di Vladimir Stefanovic Tarasenko. Operaie di elettronica al lavoro. 1976. olio su tela.

Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi

Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).

 La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.

 L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003). 

ARTICOLO 2119 codice civile. Recesso per giusta causa. Il datore di lavoro o il lavoratore  possono recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità sostituiva del preavviso.

ART. 18 dello statuto dei lavoratori. Tutela del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare illegittimo. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.

ARTICOLO 2118 codice civile. Recesso dal contratto a tempo indeterminato. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità.

In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

 

Art. 18 dello statuto dei lavoratori : licenziamento illegittimo ma con il solo diritto ad una indennità risarcitoria, senza reintegrazione nel posto di lavoro. Il giudice, nelle altre  ipotesi (il fatto sussiste ed è stato commesso dal lavoratore) ma in cui accerta che non ricorrono comunque gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.