15/02/2014
Un’azienda decide di far sottoscrivere a un dipendente un atto di rinuncia ad ottenere il pagamento delle ore di lavoro straordinario che pacificamente ha svolto. Il consulente del lavoro spiega all'azienda che, per rinunciare validamente a un diritto il lavoratore e l'impresa devono sottoscrivere un verbale di conciliazione avanti il sindacato e indica all'impresa la persona di un sindacalista che si presterebbe a questa operazione.
Il lavoratore, senza essere iscritto al sindacato, senza aver mai conosciuto il sindacalista e senza che nessuno gli abbia veramente spiegato la natura del suo diritto e il significato della sottoscrizione del verbale di conciliazione, impaurito di perdere il posto di lavoro, se non appone quella firma che il datore di lavoro gli ha chiesto con tanta insistenza, si induce a firmare l'accordo.
Negli anni successivi il lavoratore incontra un avvocato che gli spiega che quella rinuncia da lui sottoscritta tanto tempo prima non vale nulla e che quelle ore di lavoro straordinario possono essere ancora chieste al datore di lavoro in pagamento.
Il lavoratore si rivolge così al tribunale che dichiara privo di efficacia il verbale di conciliazione sottoscritto avanti il sindacalista perché il sindacalista era l'uomo di fiducia del consulente del lavoro e del datore di lavoro e non la persona di fiducia del lavoratore, che in quell'occasione doveva essere protetto e garantito e che protetto in realtà non è stato.
Il datore di lavoro davanti al giudice ha invocato inutilmente quell'accordo per il quale aveva corrisposto anche un compenso al sindacalista.
La cassazione ha confermato la sentenza dei giudici di merito.
Il datore di lavoro ha cercato di truffare il suo dipendente ma è rimasto, come si suole dire, con il cerino in mano.