15/02/2014
Il titolare di un'impresa, che ha superato i quarant'anni, si è invaghito della sua giovane impiegata. Le volte in cui l'impiegata rimaneva sola in ufficio, l'imprenditore, in modo sempre più esplicito, le diceva chiaramente che, nel caso in cui non ci fosse stata, l'avrebbe mandata a lavorare in un locale della cantina. La giovane impiegata non gradiva queste molestie, ma avendo necessità di dover lavorare, ha sopportato per lungo tempo; la ragazza stanca di subire le molestie ha incominciato a registrare segretamente sul suo telefonino le avances del suo sgradito corteggiatore. La giovane, alla fine, stanca di subire queste fastidiose pressioni e molestie, per non cedere, si è indotta a presentare le dimissioni per giusta causa. Con le dimissioni, però, ha presentato una minuziosa denuncia alla procura della Repubblica. La procura della Repubblica ha disposto una perizia sulle numerose registrazioni e all'esito di questa perizia ha chiesto il rinvio a giudizio dell'imprenditore molestatore. Il dibattimento, molto combattuto e con testi della difesa che riferivano di atteggiamenti accondiscendenti dell'impiegata, si è concluso nel modo in cui necessariamente si doveva concludere, considerate le inconfutabili prove rappresentate dalle registrazioni: l'imprenditore è stato condannato a 10 mesi di reclusione, oltre che al risarcimento del danno a favore della parte civile e al pagamento delle spese processuali. L'imprenditore ha proposto appello. Il giudizio di appello è in attesa di fissazione dell'udienza.