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Il contratto a termine della legge Fornero

Disciplina complessa e articolata

Il contratto a termine, disciplinato dal decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368, con il nuovo intervento riformatore del 2012, è stato posto in una posizione di privilegio rispetto alla precedente disciplina con una maggiore appetibilità nel farvi ricorso.
Il legislatore del governo tecnico del 2012, ha sentito l'esigenza di riaffermare il 1º comma con una nuova formulazione secondo cui il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune del rapporto di lavoro. Ma, dopo aver affermato solennemente questo principio, ha introdotto una complessiva normativa giuridica che sostanzialmente e con qualche limite, pone il contratto di lavoro a tempo determinato sullo stesso piano di dignità del contratto di lavoro a tempo indeterminato. In sostanza, ha affermato con solennità un principio che immediatamente dopo ha sconfessato adottando una pluralità di norme di tutt'altro significato.
Tutte le nuove norme sul contratto a tempo determinato, modificative della precedente disciplina, sono norme che hanno inteso tutelare l’impresa e la flessibilità nell'accesso al lavoro. 
Nella precedente disciplina del contratto a termine era previsto che l'impresa potesse ricorrere al contratto a termine solo in presenza di ragioni specificate e indicate nella lettera di assunzione. Con la nuova disciplina, si è introdotta una nuova forma di contratto a termine per il quale nella lettera di assunzione non è necessario indicare le ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine. Si tratta del primo contratto a termine stipulato di durata non superiore a 12 mesi. Si può ricorrere a questo tipo di contratto a termine “per lo svolgimento di qualunque tipo di mansioni”. Non vi è mansione, pertanto, che sia sottratta alla possibilità di essere destinataria di questo contratto.
Questa nuova figura di contratto, possiamo definirla come contratto di lavoro a tempo determinato liberalizzato.
Questo contratto di lavoro non può avere però una durata superiore a 12 mesi e non può essere sottoposta ad alcun tipo di proroga. Una volta scaduto il termine il contratto cessa e, qualora dovesse continuare, si tratta di un contratto a tempo indeterminato.
L'impresa, così, è autorizzata, in via generale ed astratta, dalla nuova legge a poter assumere alle sue dipendenze qualsiasi lavoratore con un contratto a termine di durata non superiore ad un anno, senza dover indicare le ragioni giustificatrici dell’apposizione di questo termine. Questo contratto di lavoro a tempo determinato liberalizzato, così, è equiparato, in tutto e per tutto al contratto a tempo determinato: le due figure giuridiche hanno così pari dignità per il nuovo ordinamento e ad esso si può ricorrere in modo indifferenziato.
Aver introdotto una norma di questo genere significa in pratica che qualsiasi impresa che deve assumere un lavoratore non procederà immediatamente alla sua assunzione con un contratto a tempo indeterminato ma farà ricorso sistematico al contratto a termine di durata non superiore ad un anno. All'esito del contratto a termine di un anno o meno, potrà poi decidere se assumere definitivamente quel lavoratore alle sue dipendenze oppure no. In questo modo con il contratto a termine si può sottoporre il lavoratore ad una prova di durata estremamente lunga e che nel nostro ordinamento non ha equivalenza in nessuna normativa e in nessun contratto collettivo che disciplini il patto di prova. L'unico elemento negativo per il datore di lavoro che decida di ricorrere a questa figura contrattuale è quella di non poter risolvere il rapporto di lavoro a termine, in qualsiasi momento, e prima della scadenza del termine finale del contratto, se non per una giusta causa. In questo modo il lavoratore, di sicuro, ottiene la certezza che prima di quella data il rapporto di lavoro, se non intervengono inadempienze da parte sua, non potrà essere sciolto.
La posizione del lavoratore, però, è fortemente debole se si considera che nel contratto a tempo determinato liberalizzato le parti possono tra loro convenire anche il patto di prova. In questo modo quel contratto a tempo determinato liberalizzato è sottoposto alla doppia tagliola del superamento della prova e della scadenza del termine finale.
In questo modo vi è il massimo della flessibilità in entrata nel mercato del lavoro da parte del prestatore d'opera e un’ ampia facoltà da parte dell'impresa di poter verificare l'idoneità e le capacità del lavoratore nel caso in cui intendesse procedere in modo definitivo alla sua assunzione.
Perché il legislatore ha sentito l'esigenza di introdurre questa modifica? La risposta è molto semplice: la normativa precedente imponeva che nel contratto a termine l'impresa indicasse in modo specifico le ragioni poste a giustificazione del termine. Se queste ragioni erano omesse o indicate in modo generico, il lavoratore aveva diritto di essere assunto dall'impresa con un contratto a tempo indeterminato nonché ad un risarcimento del danno che andava da un minimo di 2,5 mensilità ad un massimo di 6 mensilità della retribuzione globale di fatto.
Le imprese, ricorrendo ai contratti a termine, non sempre sapevano utilizzare la norma giuridica che consentiva questo tipo di contratto perchè, in genere omettevano di indicare le ragioni o le indicavano in modo generico. L'impresa così stipulava contratti a termine giuridicamente invalidi con le conseguenze a suo danno sopra indicate. Con la nuova legge si è voluto evitare a carico delle imprese ogni rischio al fine di consentire una libertà assoluta, sciogliendo l'impresa dall'obbligo di indicare le ragioni, almeno per il 1º contratto con una durata non superiore all'anno.
Si tenga presente, e questo non bisogna dimenticarlo, che il risarcimento del danno nella misura forfettaria sopra indicata da un minimo di 2,5 mensilità ad un massimo di 6 mensilità della retribuzione globale di fatto è stato introdotto nel mese di dicembre del 2010 dal collegato lavoro che ha drasticamente ridotto il risarcimento dei danni in capo all’azienda nel caso di contratto a termine nullo: prima di questa modifica, infatti, l’impresa che concludeva un contratto di lavoro a tempo determinato nullo era obbligata, non solo a riammettere il lavoratore al lavoro, ma anche a risarcirgli il danno che era pari a tutte le retribuzioni da lui perse, dalla data di estromissione dal posto di lavoro fino alla data della sua riassunzione. A volte si trattava di anni e anni di retribuzione e di contribuzione previdenziale che l’impresa doveva pagare a quel lavoratore che aveva estromesso illegittimamente dall’azienda.
Come si può vedere il passaggio da un sistema di forte garanzia a favore del lavoratore a un sistema di liberalizzazione a favore dell’impresa è stato molto veloce e radicale nel volgere di 2 anni e 6 mesi.
Il riformatore del 2012 nel tutelare l'impresa ha voluto specificare che il nuovo modello risarcitorio, come sopra determinato, "ristora per intero il pregiudizio subìto dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro". Questa specificazione è stata resa necessaria perché una certa giurisprudenza e dottrina, di fronte alla nuova riforma, avevano cercato in tutti i modi di dare una interpretazione che ampliasse i diritti risarcitori del lavoratore. Con l'interpretazione autentica della norma, il risarcimento del danno resta così definitivamente fissato in quei termini tassativi.

Contratto a termine non superiore a 12 giorni.
La norma prevede che il contratto a termine sia concluso in forma scritta ma introduce un'eccezione, prevedendo la forma orale, nel caso in cui la durata del rapporto di lavoro non dovesse essere superiore a 12 giorni. Questa norma non dà certezza alle parti, e particolarmente non dà certezza alla parte più debole del rapporto di lavoro, perché può essere foriera di ambiguità a danno del lavoratore stesso. L'impresa virtuosa, nel concludere un contratto a termine, qualunque durata esso abbia, avrà sempre cura di adottare la forma scritta. Prevedere che per contratti di durata inferiore a 12 giorni non sia necessaria la forma scritta equivale a legittimare eventuali abusi che era opportuno, a livello normativo, evitare in modo certo ed assoluto.
La vecchia normativa del 2001 sul contratto a termine prevedeva che nel caso in cui, scaduto il termine del contratto, il rapporto di lavoro continuasse oltre il 20º giorno e il contratto fosse di durata inferiore a 6 mesi ovvero oltre il 30º giorno negli altri casi, il contratto di lavoro nato originariamente a tempo determinato doveva considerarsi a tempo indeterminato dalla scadenza di questi termini. La nuova normativa del 2012, allo scopo evidente di favorire l'impresa, ha ritenuto che il termine dei 20 giorni fosse elevato a 30 e il termine che prima era di 30 giorni fosse elevato a 50 giorni. Il contratto a tempo determinato liberalizzato, con questa previsione, può avere una durata massima di 1 anno oltre i 50 giorni di tolleranza previsti dalla normativa sopra richiamata.
Il lavoratore in questi giorni di tolleranza avrà diritto solo ad una maggiorazione della sua retribuzione.
La vecchia normativa, inoltre, prevedeva che, scaduto il contratto a termine, se il lavoratore fosse stato riassunto con altro contratto a termine, entro un periodo di 10 giorni dalla scadenza di un contratto di durata fino a 6 mesi oppure entro 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore hai 6 mesi, il 2º contratto a tempo determinato si sarebbe considerato a tempo indeterminato. La nuova normativa, però, ha modificato questi termini prevedendo termini intermedi di gran lunga superiori rispetto a quelli originariamente previsti. In questo modo i 10 giorni di prima sono diventati 60 e i 20 giorni sono diventati 90.
Nel caso in cui, invece, al 1º contratto a tempo determinato liberalizzato dovesse succedere, senza interruzione dell'attività lavorativa, un altro contratto di lavoro a tempo determinato, il rapporto di lavoro si intenderà a tempo indeterminato fin dall'origine.
Il contratto a tempo determinato liberalizzato non è detto che debba necessariamente avere una durata non superiore ad un anno perché, l'impresa, dopo aver stipulato il contratto a termine liberalizzato della durata di un anno, decorsi i 90 giorni dalla scadenza di questo, può ben stipulare un altro contratto a tempo determinato liberalizzato, (senza indicare le ragioni giustificatrici) nel caso in cui le mansioni del 2º contratto siano diverse dal 1º. 
La precarietà, così, non è detto che sia limitata solo ad 1 anno e 50 giorni. Nell'intreccio degli interessi e nella varietà delle situazioni aziendali, questo termine può ben essere più lungo nel caso in cui le mansioni dei vari contratti a termine siano diverse l’uno dall’altro. Al contratto a termine liberalizzato possono ben succedere altri contratti a termine motivati.
Al fine di evitare, comunque, ogni rischio giuridico, un’impresa accorta, quando ha veri motivi di ricorrere alla figura del contratto a termine è meglio che indichi, anche per lealtà contrattuale con il lavoratore, i motivi per cui si è indotta a sottoscrivere un contratto a tempo determinato e non uno a tempo indeterminato. La lealtà e la trasparenza nella stipulazione di un contratto, qualunque esso sia, giova al rapporto e alle parti.
Il contratto collettivo nazionale può prevedere la riduzione del termine dei 30 giorni e quello dei 50 giorni, consentiti per la prosecuzione del rapporto di lavoro a tempo determinato, nel caso in cui l'assunzione a termine sia avvenuta nell'ambito di un processo organizzativo determinato dall'avvio di una nuova attività, dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo, dall'implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo, dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente. 
Si noti la “ finezza” giuridica del legislatore tecnico: ha elevato i termini a danno del lavoratore ma, fulminato sulla via di Damasco, ha ritenuto di concedere la facoltà al contratto collettivo di riportare questi termini nella quantità temporale originariamente prevista dalla precedente normativa. La norma evidentemente con la sua nuova formulazione ha inteso rafforzare la tutela degli interessi dell'impresa anche su un aspetto marginale della disciplina giuridica dell'Istituto.
Lo stesso spirito e lo stesso interesse del legislatore non hanno, però, alimentato l'elevazione del termine intermedio della eventuale nuova riassunzione da 10 a 60 giorni e quello 20 a 90 giorni. 
In questo caso ad essere maggiormente tutelato è il lavoratore.
In questo modo si è voluto dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Una volta si è favorito il lavoratore è un’ altra volta l’impresa. Ma nel conto finale è certamente la tutela dell'impresa che ha avuto il sopravvento. 

Proroga del termine. 
La proroga di un contratto a termine è quell'atto con il quale si prolunga il termine iniziale oltre la scadenza originariamente pattuita dalle parti all'interno del contratto.
Il contratto a tempo determinato liberalizzato non può essere prorogato. Esso può essere stipulato una tantum. Ma a questo contratto può ben succedere un altro contratto a tempo determinato con motivazione. Non vi è nessun impedimento giuridico a che queste due figure di contratto a tempo determinato possano camminare in fila indiana. In questo caso, però vale il principio che i contratti a termine, di qualunque genere essi siano, non possono, comunque, superare i tre anni di durata complessiva. Le proroghe del contratto a tempo determinato motivato possono essere molteplici ma non devono superare la durata complessiva di tre anni. 
La proroga del contratto a termine motivato deve avere la forma scritta e deve indicare le ragioni obiettive che lo sorreggono.

Cumulo tra somministrazione e contratto a tempo determinato 
La riforma del 2012 ha inserito la previsione che "ai fini del computo del periodo massimo di trentasei mesi si debba tenere altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, inerente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato». In questo modo un lavoratore che presta la sua attività lavorativa presso la medesima azienda e con le stesse mansioni prima con contratto a termine e successivamente con contratto di somministrazione di lavoro, ha diritto all'assunzione a tempo indeterminato nel caso in cui il cumulo di questi diversi periodi comporti il superamento del limite del trentasei mesi di attività lavorativa.

Processo evolutivo del contratto a tempo determinato 
Il processo di equiparazione del contratto a tempo determinato a quello indeterminato, ha avuto inizio alla fine degli anni 80. È stato un inizio timido ma progressivamente si è affermato sempre di più. L'ultima tappa è rappresentata dalla riforma del lavoro del governo dei tecnici del 2012. A meno che non vi sia una netta inversione di tendenza rispetto a quanto avvenuto nell'ultimo ventennio, la strada intrapresa sembra quella di equiparare sempre più il contratto a tempo determinato a quello a tempo indeterminato, attribuendo alle 2 figure pari dignità giuridica.
Il cammino, però, per raggiungere questo obiettivo non è facile perché contro l'esigenza dell'impresa di avere la flessibilità più assoluta nell'entrata nel mercato del lavoro si oppone la giusta esigenza dei lavoratori di avere rapporti lavoro stabili e duraturi.
La finale sistemazione della materia dipenderà dall'equilibrio delle opposte forze in campo. La materia del contendere, indubbiamente, è magmatica e ogni previsione sul futuro incerta.

Contratto di somministrazione a tempo determinato. 
La nuova normativa del contratto a termine liberalizzato si applica anche ai contratti di somministrazione di manodopera. Le agenzie di lavoro, quando somministrano i lavoratori all’impresa utilizzatrice, per il 1º contratto a termine di durata non superiore ad un anno, per tutti i tipi di mansioni svolgibili all’interno dell’azienda, possono ricorrere al contratto di somministrazione a tempo determinato senza indicare le specifiche ragioni del perché si sia fatto ricorso a questa particolare figura giuridica. Con questa riforma, anche per la somministrazione di lavoro, si è annullata una formalità che evidentemente era divenuta fastidiosa per l'impresa e che rappresentava un argine naturale contro lo straripamento dei contratti di somministrazione a tempo determinato. Almeno per la prima volta e almeno per il primo anno di durata del contratto di somministrazione non vi è forma da rispettare se non quella di consegnare una semplice lettera indicante la dicitura che il contratto si intende a termine.
Le ragioni tecnico organizzative e progettuali del perché del ricorso al contratto di somministrazione a termine non saranno più specificate in questa somministrazione a termine liberalizzata.

Pattuizione del termine prima dell’inizio del rapporto di lavoro 
Il contratto a tempo determinato liberalizzato e senza ragioni giustificative deve essere comunque concluso con la forma scritta ed il relativo patto deve risultare essere stato accettato e voluto dal lavoratore prima dell’inizio della sua prestazione lavorativa. Nel caso in cui il contratto a tempo determinato liberalizzato fosse sottoscritto a rapporto di lavoro subordinato già iniziato, la relativa pattuizione è da considerarsi priva di ogni effetto giuridico ed il contratto è da ritenersi fin dall’origine a tempo indeterminato.

 

P.s. del 29 dicembre 2019

Il contratto di lavoro a tempo determinato dall’entrata in vigore della prima legge del 2001 ha subito negli anni successivi plurimi interventi legislativi che ne hanno modificato sensibilmente la disciplina. Si tratta di una figura giuridica magmatica sottoposta a duri interventi tellurici. Leggendo le varie sentenze dei giudici riportati nel nostro sito occorre collocare nel tempo i fatti e il diritto per non essere fuorviati e cadere gravemente in errore sulla disciplina effettiva del caso concreto sotto il vostro esame.

 

 

Contratto a tempo determinato  disciplina vigente

 Decreto legislativo del 15 giugno 2015 - N. 81 e successive modificazioni

La lettera di assunzione, atto fondativo del rapporto di lavoro

La lettera di assunzione rappresenta il contratto di lavoro. Nella lettera di assunzione devono essere riportate tutte le condizioni di lavoro: retribuzione, mansioni, patto di prova, applicazione del contratto collettivo, inquadramento, compenso, numero delle mensilità e ogni altro elemento utile ad identificare il trattamento economico e normativo pattuito. Nella lettera di assunzioni si possono prevedere patti di non concorrenza e termini di decadenza che maturino anche in costanza di rapporto di lavoro. La lettera di assunzione é il documento più importante del rapporto di lavoro. La sua elaborazione deve essere frutto di grande attenzione. Le imprese devono evitare l'uso di modelli o formulari perché le soluzioni adottabili possono essere le più diverse. L'autonomia negoziale é molto ampia. Nella cornice giuridica del rapporto di lavoro possono essere adottate le soluzioni più varie. Non esiste un solo modello contrattuale ma esistono infiniti modelli con le condizioni più diverse. L'autonomia negoziale non é utilizzata dalle parti o é utilizzata in modo del tutto marginale o malamente.

Il contratto a tempo determinato deve essere sottoscritto, a pena di nullità, con la forma scritta. Si tratta di un patto che deve risultare esplicitamente accettato dal lavoratore interessato.

Il contratto collettivo e la sua applicazione al singolo rapporto di lavoro

L'applicazione del contratto collettivo non é obbligatoria. Nella loro autonomia le parti possono far disciplinare il loro rapporto di lavoro dalle norme del codice civile, dalle leggi speciali e dagli accordi economici valevoli erga omesse della fine degli anni 50 e 60. Nel caso in cui le parti decidano di applicare al rapporto di lavoro il contratto collettivo non é obbligatorio applicare il contratto del settore merceologico di appartenenza ben potendo le parti richiamarsi ad un qualsiasi altro contratto collettivo. L'importante é che il trattamento economico e normativo complessivo riconosciuto al collaboratore corrisponda ai criteri previsti dall'art. 36 della costituzione.

Per il socio lavoratore di una cooperativa con rapporto di lavoro subordinato, invece, è obbligatorio per legge applicare il contratto collettivo del settore merceologico di appartenenza.