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Lavoro subordinato e gruppi societari


A causa della trasformazione del tessuto produttivo ed industriale, una questione è diventata di seria attualità: la collocazione del rapporto di lavoro all’interno di un gruppo societario.
Negli ultimi anni, infatti, le grandi imprese hanno iniziato ad organizzarsi con la struttura del gruppo societario, che offre alcuni vantaggi dal punto di vista organizzativo ed economico-finanziario. Il gruppo societario, infatti, soprattutto successivamente alla riforma delle società di capitali del 2003, è configurabile come un sistema morfologico di impresa in grado di moltiplicare i centri di controllo della medesima e di permettere una vantaggiosa e più libera allocazione delle risorse nei vari comparti dell’azienda. La stessa struttura del gruppo può permettere alle imprese di risparmiare i costi di filiera, qualora riescano a raggiungere una struttura di gruppo verticale.
In realtà, in Italia i gruppi societari hanno strutture e proprietà peculiari, rispetto a quelli europei ed anglosassoni, essendo essenzialmente configurabili come imprese unitarie frazionate in diverse società ed essendo, il più delle volte, riconducibili ad un’unica compagine proprietaria (spesso rappresentata dalle storiche grandi famiglie proprietarie industriali).
Ad ogni modo, la struttura del gruppo è in importante ascesa nel panorama delle imprese industriali, commerciali e finanziarie italiane.
Pertanto, occorre interrogarsi su come il rapporto di lavoro si sviluppi all’interno di un’impresa organizzata in tale modo. La peculiarità strutturale del gruppo è individuabile nel fatto che la società datrice di lavoro può essere sottoposta alla direzione e al coordinamento da parte di un’altra società collegata o, comunque, connessa dal punto di vista imprenditoriale. Dal punto di vista giuridico, però, le due organizzazioni rimangono ben distinte.
Da questa particolare situazione di fatto emerge, spesso, il tentativo di individuare una pluralità di soggetti titolari del rapporto di lavoro (codatorialità).
Nella realtà del diritto, però, l’operazione è tutt’altro che semplice ed immediata. Infatti, come detto, le strutture societarie restano ben distinte e il rapporto di lavoro resta in capo alla sola società effettivamente titolare del contratto di lavoro. Dunque, allo stato attuale ed in una contesto di normalità, risulta impossibile individuare la codatorialità.
Per individuare una pluralità dei soggetti titolari del rapporto di lavoro, infatti, la Cassazione richiede situazioni particolari ed al limite della frode, individuando dei requisiti molto stringenti per l’identificazione della codatorialità: a) “Un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro”.
b) “L’ unicità della struttura organizzativa e produttiva”. 
c) “L’ integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune”. 
d) "Coordinamento tecnico e amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune”. 
e) “Utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori”.
E’ evidente che requisiti del genere ricorrono molto raramente e mai in organizzazioni imprenditoriali correttamente strutturate.
Per una diversa regolazione dei rapporti all’interno dei gruppi societari parrebbe necessario un intervento legislativo specifico, che intervenga solo su alcuni aspetti particolari del rapporti di lavoro (ad esempio i licenziamenti collettivi o il “repechage”).
Gli unici spazi di manovra, che può avere la giurisprudenza in questa materia, appaiono essere collegati ai rapporti fra società controllante e società controllata. Infatti, la nuova normativa codicistica prevede obblighi informativi in capo alla società controllante e alla responsabilità della controllante: il nuovo art. 2497 prevede un obbligo di responsabilità per la controllante nei confronti dei creditori, in caso di lesione all’integrità del patrimonio della società controllata.
Considerando il lavoratore come un creditore dell’azienda, si potrebbero individuare ipotesi di responsabilità della società titolare della direzione e del coordinamento nei casi più gravi di dissesto della società controllata. Questo permetterebbe, peraltro, di introdurre un deterrente per strategie spregiudicate che alcune strutture proprietarie talvolta utilizzano, concentrando l’intero debito su una singola società e sacrificandola nell’interesse della solidità o, più semplicemente, dei profitti del gruppo, spesso con devastanti risvolti sui rapporti di lavoro in capo alla società “sacrificata”.
In conclusione, il rapporto di lavoro all’interno del gruppo societario è un argomento complesso e in continuo divenire, anche se, onestamente, gli spazi di manovra per giurisprudenza e dottrina appaiono molto stretti.
Milano, 04/10/2010