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Licenziamento, certificazione medica, visita domiciliare, assenza.


Il fatto.
Un cuoco rappresentava di essersi assentato dal lavoro il giorno 22.1.2005 (sabato) e di essere stato sottoposto a visita dal medico curante il successivo 24.1.2005 che gli aveva rilasciato un certificato medico attestante malattia durevole sino all’1.2.2005, certificato inviato alla società datrice di lavoro e all’Inps; che in seguito gli era stata contestata l’assenza ingiustificata di un giorno e la sanzione di un giorno di sospensione e poi gli era stata ancora contestata l’assenza ingiustificata per ulteriori giorni (più di cinque), sul presupposto che era risultato assente vuoi alla visita di controllo domiciliare vuoi alla visita di controllo ambulatoriale da espletarsi rispettivamente in data 25/27.1.2005 e 26/28.1.2005. Addotta la giustificazione di detta assenza (e cioè il fatto di essersi recato durante la malattia presso il domicilio di una cugina onde farsi assistere, nell’ignoranza di essere soggetto all’obbligo di reperibilità per la visita ispettiva), aveva ricevuto comunicazione della sanzione disciplinare espulsiva, adottata con lettera dell’1.2.2005 ai sensi dell’art. 167 c.c.n.l. per i dipendenti di pubblici esercizi che la prevedeva per l’assenza ingiustificata superiore a giorni 5.
Sia il tribunale che la corte di appello hanno ritenuto legittimo il licenziamento.
Il cuoco insoddisfatto della decisione dei giudici di merito ricorreva in cassazione.

I principi di diritto.
La cassazione ha confermato il licenziamento affermando i seguenti principi:
“La giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Cass., sez. lav., 13 dicembre 2005, n. 27429) ha da tempo affermato che la giustificazione dell’assenza nelle fasce di reperibilità deve essere fondata su motivi seri che determinano l’impossibilità di osservare l’obbligo di reperibilità e che la violazione dell’obbligo di reperibilità alla visita medica di controllo può giustificare il licenziamento; la valutazione complessiva della gravità dell’infrazione deve tener conto delle violazioni anteriori e delle sanzioni disciplinari inflitte. Cfr. anche Cass., sez. lav., 3 maggio 1997 n. 3837 secondo cui l’assenza del lavoratore dalla propria abitazione durante la malattia – oltre a dar luogo a sanzioni (quali la perdita del trattamento economico) comminate per violazione dell’obbligo di reperibilità facente carico sul lavoratore medesimo durante le cosiddette fasce orarie (art. 5, comma quattordicesimo, d.l. n. 496 del 1983, conv. in legge n. 638 del 1983) – può integrare anche un inadempimento sanzionabile (nel rispetto delle regole del contraddittorio poste dall’art. 7 Stat. lav.) con una sanzione disciplinare, quale il licenziamento disciplinare, ove la condotta del dipendente importi anche la violazione di obblighi derivanti dal contratto di lavoro.
Quindi, al fine della giustificatezza del licenziamento, rileva la violazione di un obbligo, quale quello di reperibilità, che inficia il nesso fiduciario ex se, senza necessità che risulti la falsità della allegazione della malattia.”
Ed ancora. “Nella specie la Corte d’appello ha correttamente preso le mosse in diritto dal principio secondo cui la violazione dell’obbligo di reperibilità durante le fasce orarie previste per le visite mediche ispettive costituisce ragione autonoma e sufficiente non solo per l’applicazione della conseguenza di legge automaticamente connessa (la perdita del trattamento economico, nei limiti previsti dalla cit. legge n. 683 del 1983), ma anche per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari quali il licenziamento.
Quanto alla valutazione della gravità del fatto la Corte d’appello ha osservato che l’inizio del periodo di congedo per malattia (il giorno 22.1.2005) è stato connotato da una riconosciuta indifferenza del lavoratore rispetto all’obbligo di diligenza, atteso che egli non ebbe ad avvisare in alcun modo la datrice di lavoro e neppure si recò quello stesso giorno dal medico per munirsi della opportuna certificazione; indifferenza che aveva una particolare connotazione di gravità stante le mansioni specifiche del lavoratore – quelle di cuoco – che non erano agevolmente fungibili. Aggiunge la Corte d’appello che tutto ciò si saldava poi con la natura della patologia invalidante, successivamente certificata, che non era sicuramente tale da impedire di provvedere alla pronta e tempestiva comunicazione al datore di lavoro del luogo di provvisoria dimora e per dare ragguagli sul luogo di sua pronta reperibilità; ciò che invece il lavoratore omise di fare fino alla data del suo rientro e ciò fino al 2.2.2005.
Osserva anche la Corte che la prolungata ingiustificata assenza del lavoratore non poteva non aver provocato disagi rilevanti per la società, soprattutto a causa della rilevata qualifica specializzata da quello rivestita che implicava specifiche difficoltà di sua sostituzione, specie in termini rapidi e senza preavviso.” 
Cassazione – Sezione lavoro 11 febbraio 2008, n. 3226.
Milano 30/03/2008

Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi

Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).

 La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.

 L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003). 

ARTICOLO 2119 codice civile. Recesso per giusta causa. Il datore di lavoro o il lavoratore  possono recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità sostituiva del preavviso.

ART. 18 dello statuto dei lavoratori. Tutela del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare illegittimo. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.

ARTICOLO 2118 codice civile. Recesso dal contratto a tempo indeterminato. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità.

In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

 

Art. 18 dello statuto dei lavoratori : licenziamento illegittimo ma con il solo diritto ad una indennità risarcitoria, senza reintegrazione nel posto di lavoro. Il giudice, nelle altre  ipotesi (il fatto sussiste ed è stato commesso dal lavoratore) ma in cui accerta che non ricorrono comunque gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.