13/01/2014
“In generale, il giudice civile deve procedere ad un'autonoma valutazione dell'episodio illecito al fine di stabilire se esso possa essere posto a fondamento della sanzione-licenziamento (cfr. Cass. n. 11500/1995), posto che il reato commesso dal lavoratore, che costituisca giusta causa di licenziamento, può dar luogo al recesso del datore di lavoro anche prima della sentenza penale di condanna (Cass. n. 2626/1998). In particolare, sull'assoluta autonomia fra la valutazione di un fatto in sede penale e la valutazione della stessa fatta in sede di accertamento della sussistenza della giusta causa, questa Corte ha formulato il seguente principio di diritto (che vale qui confermare): "il giudice del lavoro adito con impugnativa di licenziamento, ove pure comminato in base agli stessi comportamenti che furono oggetto di imputazione in sede penale, non è affatto obbligato a tener conto dell'accertamento contenuto nel giudicato di assoluzione del lavoratore, ma ha il potere di ricostruire autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti materiali e di pervenire a valutazioni e qualificazioni degli stessi del tutto svincolate dall'esito del procedimento penale; inoltre, in ogni caso, la valutazione della gravità del comportamento del lavoratore, ai fini della verifica della legittimità del licenziamento per giusta causa, deve essere da quel giudice operata alla stregua della ratio degli art. 2119 c.c. e 1 della legge n. 604 del 1966, e cioè tenendo conto dell'incidenza del fatto commesso sul particolare rapporto fiduciario che lega le parti nel rapporto di lavoro, delle esigenze poste dall'organizzazione produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione indipendentemente dal giudizio che del medesimo fatto dovesse darsi ai fini penali" (Cass. n. 10315/2000).”
Cassazione – Sezione lavoro 25 gennaio 2008, n. 1661.
Milano 22 febbraio 2008