08/01/2014
Sul concetto di rinunzia.
La rinunzia è un negozio unilaterale recettizio con il quale il lavoratore rinuncia ad un suo diritto mentre la transazione è un contratto tra le parti mediante il quale lavoratore e il datore di lavoro facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già cominciata o prevengono una lite che potrebbe insorgere.
Sulla invalidità degli atti di rinunzia e di transazione.
L' art. 2113 codice civile rappresenta uno snodo essenziale del rapporto di lavoro subordinato perché dispone che le rinunzie e le transazioni che abbiano ad oggetto diritti derivanti da norme inderogabili di legge o di contratto collettivo sono affette da invalidità.
Questa norma, di forte tutela del lavoratore subordinato, si applica anche ai contratti di agenzia.
Questa previsione della legge tutela il lavoratore quale parte ontologicamente e per antonomasia debole del contratto, impedendo che il lavoratore sia obbligato dal suo datore di lavoro a rinunciare o a transigere sui suoi diritti.
Questa invalidità, a pena di decadenza, così come prevede l'art. 2113 codice civile, al secondo comma, deve essere fatta valere entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro o dalla data di compimento dell'atto di rinunzia o di transazione se compiuto dopo la cessazione del rapporto.
Questo termine di impugnazione non può essere oggetto di diversa pattuizione collettiva oppure individuale.
Il concetto di annullabilità dell'atto di transazione o di una rinuncia perchè impugnati determina le seguenti conseguenze:
- l'impugnazione non può essere rilevata d'ufficio dal giudice; essa deve essere eccepita dal lavoratore nei suoni atti difensivi;
- il diritto di far valere l'impugnazione si prescrive in cinque anni;
-l'impugnazione può essere esercitata solo dal lavoratore e non anche dal datore di lavoro.
-Se l'atto non è impugnato tempestivamente nel termine dei sei mesi la sua invalidità viene definitivamente sanata.
-Il diritto di impugnare l'atto di transazione non può essere esercitata dagli eredi del lavoratore essendo atto del tutto personale e non trasmissibile per eredità.
Sul contenuto degli atti di rinunzia e di transazione.
La legge non tutela allo stesso modo tutti i diritti del lavoratore; essa tutela fortemente i diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto collettivo. Sono escluse, pertanto, da questa forte tutela i diritti del lavoratore che sono conseguenza della sua pattuizione individuale.
Non sono oggetto di tutela inderogabile, nemmeno, quei diritti che sono conseguenza dell'applicazione del contratto collettivo di lavoro ma che lo stesso contratto collettivo qualifica esplicitamente come derogabili dal diverso accordo delle parti. Oggetto di rinunzia o di transazione possono essere tutti i diritti di natura retributivi e tutti i diritti di natura risarcitoria: il diritto alla salute, il diritto alle ferie, il diritto alla previdenza e assistenza, i diritti alla qualifica , il diritto alle mansioni e al luogo di lavoro, al riposo settimanale ecc.
Sulla risoluzione del rapporto di lavoro.
Le pattuizioni aventi ad oggetto la risoluzione del rapporto di lavoro o la sua sospensione non sono qualificati dalla legge come atti di disposizione su diritti inderogabili e quindi, come tali, non sono soggetti alla forte tutela prevista dall'art. 2113 del codice civile.
Il lavoratore, pertanto, può disporre liberamente sulla prosecuzione del suo rapporto di lavoro senza che la sua manifestazione di volontà possa essere successivamente oggetto di impugnazione.
Sui diritti indisponibili non ancora nel patrimonio del lavoratore
Il lavoratore può sottoscrivere accordi transattivi o rinunciare a diritti che sono già entrati nel suo patrimonio. Tutti i diritti, invece, che ancora non sono entrati a far parte del suo patrimonio non sono disponibili e la transazione la rinuncia su questi diritti sono da considerarsi colpiti da nullità assoluta.
In esecuzione di questo principio, assolutamente pacifico in dottrina e in giurisprudenza, sono da considerarsi colpiti da nullità assoluta tra i tanti:
- l'accordo con il quale è il lavoratore esonera il datore di lavoro dall'obbligo di corrispondergli la retribuzione prevista dal contratto collettivo di lavoro e i vari istituti tipici del rapporto di lavoro subordinato (tredicesima, quattordicesima, ferie, trattamento di fine rapporto, inquadramento, permessi, riduzione dell'orario, ecc.);
- la dichiarazione con la quale il lavoratore riconosce che la sua prestazione lavorativa ha carattere autonomo anziché subordinato;
- la rinuncia a futuri aumenti previsti dalla contrattazione collettiva;
- la rinuncia di un socio lavoratore di cooperativa a far valere la natura subordinata della sua prestazione;
- la rinuncia ad impugnare eventuali atti di trasferimento del lavoratore da una sede a un'altra;
- la rinuncia a far valere la nullità del patto di prova;
- la rinuncia a far valere la nullità del rapporto di apprendistato.
Sulla volontà del lavoratore negli atti di rinunzia e nella transazione.
Condizione essenziale della validità dell'atto di rinunzia e la transazione è che la volontà del lavoratore nel compiere questi atti deve risultare in modo assolutamente chiara e inequivocabile. Il lavoratore deve avere piena consapevolezza e coscienza dell'atto che compie.
L'atto di transazione e di rinuncia, pertanto, deve essere redatto in modo completo, dando esatta cognizione della materia del contendere, nei suoi elementi specifici, con la conseguente dichiarazione esplicita che su questi diritti maturati il lavoratore intende transigere e conciliare.
Le dichiarazioni generiche non hanno valore.
Sulla rinuncia per fatto concludente.
La rinuncia del lavoratore può anche essere tacita e per fatto concludente. La rinuncia, pertanto, non necessita della forma scritta, come, invece, è richiesto espressamente dalla legge per l'atto di transazione.
La rinuncia tacita, però, deve essere desunta da comportamenti significativi e inequivocabili del lavoratore. La giurisprudenza non ha mai attribuito significato di rinuncia tacita all'impugnazione del licenziamento la circostanza che il lavoratore abbia accettato la corresponsione del trattamento di fine rapporto, così come non ha mai riconosciuto l’esistenza della rinuncia tacita nel comportamento del lavoratore che non ha reagito adeguatamente e tempestivamente alla riduzione della sua retribuzione unilateralmente disposta dal datore di lavoro.
Sulla Forma della transazione.
L'atto di transazione deve avere necessariamente e inderogabilmente la forma scritta.
L’atto di transazione non può essere provato attraverso i testimoni. La transazione deve essere provata da chi la invoca solo con l'atto scritto. La forma scritta è vincolante.
Sugli atti di quietanza a saldo .
La semplice dichiarazione rilasciata dal lavoratore di non aver più nulla a pretendere dal datore di lavoro perché ha già percepito quanto a lui dovuto non ha valore di rinunzia dei propri diritti o valore di transazione. A nulla valgono le dichiarazioni di stile che il datore di lavoro si fa rilasciare in occasione dei pagamenti in corso del rapporto di lavoro o del pagamento finale. Il lavoratore, pertanto, può agire anche successivamente al rilascio di queste sue dichiarazioni per rivendicare il mancato riconoscimento dei suoi diritti inderogabili.
Sull'accordo tra le parti per la temporanea sospensione del rapporto di lavoro.
Il lavoratore può col suo datore di lavoro pattuire la temporanea sospensione della sua prestazione lavorativa senza la corresponsione della retribuzione. Questa pattuizione è valida non avendo ad oggetto un diritto del lavoratore di natura inderogabile. Il lavoratore è libero di scegliere se proseguire o meno in modo inalterato nel rapporto di lavoro. La mancata corresponsione della retribuzione in presenza di sospensione concordata della prestazione lavorativa, avviene in conseguenza della mancata prestazione. Non essendovi la prestazione lavorativa non vi è obbligo di corresponsione della retribuzione. Anche la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro o l'accettazione scritta del licenziamento sono atti che acquisiscono immediata efficacia senza che il lavoratore abbia la possibilità di poterli impugnare trattandosi di diritti derogabili.
Sull'efficacia degli atti di transazione e di rinuncia nei confronti di terzi .
Gli atti di transazione e di rinuncia sottoscritti dal lavoratore e dal datore di lavoro non hanno alcuna efficacia nei confronti dei terzi. In questo contesto, i vari istituti previdenziali che vantano diritti in conseguenza immediata e diretta del rapporto di lavoro subordinato, non subiscono alcun pregiudizio dagli eventuali accordi intervenuti tra le parti. Questi istituti previdenziali possono far valere gli obblighi contributivi maturati a loro favore fornendo la relativa prova dell'esistenza di questo loro diritto.
Sull'impugnazione degli atti di rinuncia e di transazione.
Gli atti di rinuncia e di transazione sottoscritti dal lavoratore ed aventi ad oggetto diritti inderogabili, possono essere da lui impugnati entro il termine di sei mesi decorrenti dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Il lavoratore, pertanto, cessato il rapporto di lavoro, può impugnare entro i sei mesi indicati dal codice civile qualsiasi atto di transazione e di rinuncia da lui sottoscritto durante il rapporto di lavoro, anche se risalente lontano nel tempo.
L'impugnazione può essere effettuata con qualsiasi atto scritto. Il lavoratore, pertanto, può manifestare questa sua volontà di impugnazione con lettera raccomandata, con telegramma, con la notificazione del ricorso introduttivo del giudizio avanti il tribunale, con il ricorso all'ufficio provinciale del lavoro per l'espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione e con qualsiasi altro mezzo di comunicazione che contenga esplicitamente questa sua volontà. Nell'atto di impugnazione deve emergere in modo inequivocabile la volontà del lavoratore di impugnare questi atti di rinuncia e di transazione.
L'atto di impugnazione è un atto unilaterale ricettizio. Perché esso possa esplicare tutti i suoi effetti è necessario che pervenga effettivamente al domicilio del datore di lavoro entro i sei mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. L'atto di impugnazione deve essere sempre sottoscritto dal lavoratore interessato.
Il diritto di impugnazione dell'atto di transazione non spetta, per legge, al datore di lavoro essendo un diritto riservato esclusivamente al lavoratore e solo da lui esercitabile.
Sugli atti di rinuncia e di transazione inoppugnabili.
L'articolo 2113 del codice civile prevede esplicitamente che il lavoratore non può più impugnare i suoi atti di transazione e di rinuncia contenuti nel verbale di conciliazione sottoscritto avanti il tribunale oppure nel verbale di conciliazione sottoscritto avanti l'ufficio provinciale del lavoro o nel verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale.
Tutti questi atti, in qualsiasi modo formati, non sono più impugnabili.
Per la validità del verbale di conciliazione in sede sindacale occorre:
- la presenza effettiva del sindacato di appartenenza e di fiducia del lavoratore;
-che i rappresentanti sindacali del datore di lavoro e del lavoratore partecipino effettivamente e attivamente alla formazione dell'atto di conciliazione;
-che la firma di tutte le parti sia contestuale alla formazione dell'atto;
-che i rappresentanti sindacali appartengano all'effettivo settore merceologico di attività del datore di lavoro e siano i sottoscrittori del contratto collettivo di lavoro applicato in azienda e al lavoratore;
-che i rappresentanti sindacali siano quelli che operano nel territorio della prestazione lavorativa o comunque siano quelli del territorio di competenza del giudice al quale sarebbe spettata la cognizione per territorio della controversia. Il deposito dell'atto di transazione o di rinuncia presso l'ufficio provinciale del lavoro o presso la cancelleria del tribunale sezione lavoro non è condizione di validità dell'atto di conciliazione. L'atto di concilaiizone sindacale, infatti, mantiene la sua validità giuridica anche se non si provvede al suo deposito presso la direzione provinciale del lavoro oppure presso il tribunale. Si tratta di una formalità esterna alla formazione dell'atto.
Tutte queste forme sono adottate a tutela del lavoratore al fine di sottrarlo ed emanciparlo dalla sua condizione di inferiorità economica, sociale e psicologica rispetto al datore di lavoro consentendogli così una effettiva manifestazione di genuina volontà e libertà di scelta. Egli deve essere libero di accettare la soluzione transattiva o dirinunciare ai suoi diritti maturati. La sua debolezza è la sua forza giuridica.
Sulla impugnazione in generale.
Il lavoratore, prescindendo dalla normativa sopra richiamata, può astrattamente e teoricamente impugnare gli atti di conciliazione qualora ricorrano gli elementi in fatto e costitutivi dei vizi della formazione della sua volontà. I principi sopra enunciati costituiscono in nucleo fondamentale ed essenziale del rapporto di lavoro con la conseguente tutela effettiva del prestatore d'opera. Scardinare questi principi significherebbe travolgere tutta la struttura e l'impalcatura giuridica poste a tutela del lavoratore.
Milano 5 giugno 2007
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