16/11/2023
Il contratto collettivo aziendale della Telecom applicato a Pesaro stabiliva un periodo di franchigia di 15 minuti oppure di 30 minuti a carico del lavoratore per la copertura dei tempi di spostamento dal domicilio o dall'azienda al luogo del primo intervento (e al ritorno), sottraendo tale tempo al computo dell'orario di lavoro da retribuire. Alcuni lavoratori collettivamente si sono rivolti al Tribunale del Lavoro di Pesaro sostenendo l'illegittimità di questa norma del contratto collettivo aziendale che li penalizzava. Il Tribunale di Pesaro ha accolto la domanda; anche la Corte di Appello di Ancona ha dato ragione ai lavoratori. Per questi giudici il tempo trascorso dai lavoratori a bordo dell'auto aziendale per recarsi nel luogo di primo intervento, e per tornare alla sede aziendale al termine dell'ultimo, integra gli estremi della prestazione lavorativa etero diretta, prodromica allo svolgimento dell'attività lavorativa e come tale deve essere normalmente retribuito.
La Telecom, nella sua qualità di datore di lavoro soccombente, ha proposto ricorso in Cassazione ritenendo che quel tempo non potesse essere incluso nell'orario di lavoro e come tale retribuito.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’azienda confermando i seguenti principi:
""Il tempo per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell'attività lavorativa vera e propria (e va quindi sommato al normale orario di lavoro come straordinario) allorché lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione" il che si verifica, alla stregua della richiamata giurisprudenza della Corte di Giustizia, allorché gli spostamenti dei dipendenti per recarsi dai clienti indicati dal loro datore di lavoro costituiscono lo strumento necessario per l'esecuzione delle prestazioni tecniche di tali lavoratori presso tali clienti, spostamenti durante i quali detti lavoratori, non avendo la possibilità di disporre liberamente del proprio tempo e di dedicarsi ai loro interessi, devono ritenersi a disposizione dei loro datori di lavoro e sono, pertanto, da considerarsi come al lavoro anche durante tale tragitto ( cfr. Cass. 27920/2021); sotto altro aspetto, deve essere inoltre rilevato alla stregua delle sentenze n. 37286/21 e n. 37340/2021, che la censura sollevata col motivo di ricorso si basa anche su di una, neppure specificamente contestata, interpretazione degli accordi collettivi in materia fornita dalla Corte di merito. E che secondo il pacifico orientamento di questa Corte è inammissibile la censura con cui il ricorrente alleghi la violazione da parte del giudice del merito dei criteri di ermeneutica contrattuale, allorché si limiti a contrapporre la propria interpretazione del contratto agli esiti cui si perviene nella sentenza impugnata (Cass. 26 dicembre 2006 n.26683). Per sottrarsi al sindacato di legittimità, peraltro, quella data dal giudice al contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata altra (Cass. 20 novembre 2009 n.24539; 2 maggio 2006 n. 10131; Cass. n. 11254 del 2018). Partendo comunque dalla pur corretta tesi Telecom secondo cui è tempo di lavoro solo quello in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro, e che (in linea di massima, cfr. Cass. n.5496/06) non è retribuibile il tempo necessario per recarsi al lavoro o per ritornare nel proprio domicilio, nella specie la Corte di merito ha accertato che, in base alla nuova organizzazione scaturente dai menzionati accordi collettivi, l'auto aziendale è utilizzabile solo per recarsi presso il richiesto luogo dell'intervento (o tornare da esso alla loro abitazione) e che compete alla società stabilire (o modificare) il luogo del primo e dell'ultimo intervento, sicché non si comprenderebbe perché tale tempo non debba essere considerato tempo di lavoro. La società, come evidenziato dalla sentenza impugnata, ha acquisito il vantaggio (rispetto alla precedente organizzazione secondo cui i dipendenti si recavano dapprima in Telecom per timbrare il cartellino orario e poi uscivano per recarsi sui luoghi degli interventi così come rientravano in Telecom alla fine di questi ultimi per timbrare nuovamente il cartellino) di disporre di lavoratori che si recano direttamente sul luogo dell’intervento e non si vede perché questo tempo non debba essere considerato di lavoro così come era (pacificamente) considerato quello impiegato per raggiungere il luogo dell'intervento dopo aver timbrato il cartellino in azienda. In sostanza, a ben vedere, il mutamento in pejus per i lavoratori è dato dalla franchigia di 15 o 30 minuti previsti dagli accordi sindacali: mentre col precedente sistema i tecnici on field lavoravano 7 ore e 38 minuti, compreso il tempo impiegato per recarsi dalla sede Telecom al luogo dell’intervento (e viceversa), col nuovo sistema lavorano invece 7 ore e 38' effettivi, e cioè al netto degli spostamenti, non essendo essi retribuiti, almeno nei limiti della franchigia. La Corte ha inoltre accertato che i lavoratori in auto sono muniti di terminale aziendale (FAS) con cui visualizzano i luoghi degli interventi stabiliti dall'azienda, 'timbrano' l'orario di inizio del lavoro (geolocalizzazione a parte) e ricevono le disposizioni della Telecom: ciò rafforza il concetto che in tali tempi sono etero diretti dall'azienda. Deve d'altro canto precisarsi che per pacifica giurisprudenza di legittimità i tempi preparatori della prestazione (ad es. quello impiegato per indossare la tuta o divisa aziendale, v. Cass. 14972/18 n.20714/13, nn. 1819-1841/12) rientrano nell'orario di lavoro se svoltisi sotto la direzione ed il controllo del datore di lavoro.” Corte di Cassazione sentenza n. 27.008 pubblicata il 21 settembre 2023.
Per la difesa davanti ai giudici è consentito produrre anche i documenti personali e riservati
“Giova ribadire che la produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali è sempre consentita ove sia necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare e quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza: dovendo, tuttavia, tale facoltà di difendersi in giudizio, utilizzando gli altrui dati personali, essere esercitata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza previsti dalla L. n. 675 del 1996, art. 9, lett. a) e d), sicché la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza, con le esigenze di difesa.” ( Cass. civ., sez. lav., sent., 12 novembre 2021, n. 33809)