12/09/2022
Al dipendente di un istituto bancario la cui attività lavorativa era connotata da una certa flessibilità riguardo all'orario e alla sede di svolgimento dell'attività, è stato contestato dall'azienda di essersi allontanato dal luogo di lavoro, in orario lavorativo, per compiti estranei al suo inquadramento professionale. Queste inadempienze sono state accertate incidentalmente mediante controlli effettuati da agenzia investigativa che doveva controllare altro soggetto. L'azienda ha così contestato al lavoratore incontri estranei all'area o sede di lavoro (supermercati e palestre), non connessi all'attività lavorativa, in luoghi distanti anche decine di chilometri dalla sede di lavoro.
A seguito della formale contestazione di addebito, l'azienda ha intimato il licenziamento per motivi disciplinari. Il tribunale e la corte d'appello di Roma, hanno rigettato il ricorso del lavoratore ritenendo legittimo il licenziamento perché hanno qualificato come "legittimi i controlli effettuati mediante agenzia investigativa - avuto riguardo alla posizione del lavoratore, dipendente di una banca, nell'ambito di un rapporto richiedente un più rigoroso rispetto dell'obbligo di fedeltà, e dei correlati canoni di diligenza e correttezza, nonché in relazione alla circostanza che le investigazioni che avevano interessato il lavoratore erano sorte nell'ambito della più ampia indagine avente ad oggetto la violazione dei permessi ai sensi della L. n. 104 del 1992, art. 33, da parte della collega S.L., con la quale il ricorrente era stato ripreso più volte."
Il lavoratore contro la sentenza dei giudici romani ha proposto ricorso in cassazione sostenendo che il controllo della prestazione lavorativa mediante agenzia investigativa esterna "doveva limitarsi solo agli atti illeciti non riconducibile al mero inadempimento della sua obbligazione che poteva essere oggetto solo di controllo diretto del datore di lavoro e dei suoi collaboratori".
La corte di cassazione ritenendo fondato il ricorso del lavoratore lo ha accolto con la seguente motivazione: "Questa Corte ha affermato in ordine alla portata della L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3, i quali delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell'attività lavorativa (art. 3) - che essi non precludono il potere dell'imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti, esterni (come, nella specie, un'agenzia investigativa), ancorché il controllo non possa riguardare, in nessun caso, né l'adempimento, né l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l'inadempimento stesso riconducibile, come l'adempimento, all'attività lavorativa, che è sottratta a tale vigilanza. Il controllo esterno, quindi, deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione. Tale principio è stato costantemente ribadito, affermandosi che le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata, dall'art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori. Ne resta giustificato l'intervento, pertanto, solo per l'avvenuta perpetrazione di illeciti e l'esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione. Ai controlli al di fuori dei confini indicati ostano sia il principio di buona fede sia il divieto, di cui all'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, nella formulazione applicabile ratione temporis, vigendo il divieto di controllo occulto sull'attività lavorativa anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l'eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (come l'esercizio durante l'orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi. Risulta, dunque, erronea la sussunzione della fattispecie concreta nella norma astratta operata dalla Corte, poiché l'attività investigativa mediante controllo esterno, ancorché occasionata da analogo, pur legittimo, controllo nei confronti di altro dipendente, esplicandosi nell'orario di lavoro del ricorrente, cioè durante l'espletamento dell'attività lavorativa da parte sua, finisce con l'incidere direttamente e, quindi, al di fuori dei limiti consentiti, su detta attività." Cassazione civile sez. lav., 24/08/2022, dep. 24/08/2022), n.25287.
La causa è stata rinviata così alla Corte di appello che dovrà riesaminare la questione uniformandosi a questi principi disattesi dalle precedenti pronunce.
Per la difesa davanti ai giudici è consentito produrre anche i documenti personali e riservati
“Giova ribadire che la produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali è sempre consentita ove sia necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare e quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza: dovendo, tuttavia, tale facoltà di difendersi in giudizio, utilizzando gli altrui dati personali, essere esercitata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza previsti dalla L. n. 675 del 1996, art. 9, lett. a) e d), sicché la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza, con le esigenze di difesa.” ( Cass. civ., sez. lav., sent., 12 novembre 2021, n. 33809)