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Per la Corte Costituzionale esiste il “diritto di non essere ingiustamente licenziato”

reintegrazione contro il licenziamento ingiustificato

La Corte Costituzionale un anno fa, con la sentenza n. 59, ha dichiarato l’incostituzionalità del comma 7 dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, così come modificato dalla legge Fornero del 2012, nella parte in cui a fronte del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con motivazione che si era rivelata manifestatamente insussistente, attribuiva al giudice la facoltà discrezionale di ordinare la reintegrazione nel posto di lavoro con il risarcimento del danno fino a 12 mese di retribuzione oppure di riconoscere il solo risarcimento del danno da 12 a 24 mensilità di retribuzione, senza reintegrazione nel posto di lavoro.

La Corte è intervenuta nuovamente sul comma 7 dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori con la sentenza n. 125 dichiarando la non costituzionalità di detto comma nella parte in cui prevede per i lavoratori assunti in epoca antecedente all’entrata in vigore del Jobs act (7 marzo 2015) alle dipendenze di aziende che occupano più di 15 addetti, la reintegrazione nel posto di lavoro solo nel caso in cui il licenziamento fosse caratterizzato da manifesta infondatezza nelle sue ragioni organizzative, produttive ed economiche. La reintegrazione d’ora in poi si otterrà di diritto anche nel caso in cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non abbia la “manifesta infondatezza”; è sufficiente la semplice infondatezza, senza aggettivi e connotati.

Questo diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro non si può riconoscere solo nel caso in cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia dichiarato illegittimo per motivi diversi dalle ragioni organizzative come, ad esempio, per violazione dei criteri di scelta del lavoratore da licenziare. In quest’ultimo caso il lavoratore avrà diritto solo all’indennità risarcitoria che va da 12 a 24 mensilità della retribuzione, senza il diritto di ritornare a prestare la sua attività lavorativa in azienda.

La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma della legge Fornero del 2012 sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo, così come delineata all’epoca dal parlamento, perché ritiene che abbia violato il principio di uguaglianza e si presenta irragionevole nella soluzione adottata per gli obbiettivi che il legislatore stesso si era prefisso di raggiungere.

Contro il licenziamento illegittimo per giustificato motivo oggettivo d’ora in poi i lavoratori avranno piena e fortissima tutela giuridica cancellando quel requisito della “manifesta infondatezza “che ha fatto tanto discutere i cultori del diritto del lavoro.

La Corte Costituzionale ha ribadito che nel nostro ordinamento giuridico esiste il “diritto del lavoratore di non essere ingiustamente licenziato”. Questo diritto deve essere adeguatamente tutelato. Il meccanismo delle tutele della legge Fornero non è stato ritenuto compatibile con i principi costituzionali.

La Corte ha colto l’occasione per ribadire che “il legislatore, pur nell’ampio margine di apprezzamento di cui dispone, è vincolato al rispetto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza e “La diversità dei rimedi previsti dalla legge deve sempre essere sorretta da una giustificazione plausibile e deve assicurare l’adeguatezza delle tutele riservate al lavoratore illegittimamente espulso." Tutti questi criteri nella disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo della legge Fornero del 2012 sono stati ritenuti mancanti.

Il comma 7 dell’articolo 18 che disciplina il licenziamento per giustificato motivo oggettivo così come concepito dalla legge Fornero del 2012, è stato smontato inella parte più significativa per mano giudiziaria.

La nuova norma si applica anche alle cause in corso. Non ha, invece, effetto sulle sentenze che sono già passate in giudicato.

Arbitro la Corte costituzionale, calcisticamente, a distanza di 10 anni dalla entrata in vigore della legge Fornero, la partita si è chiusa al momento con la vittoria dei lavoratori con il punteggio di due a zero.

Questo risultato è stato ottenuto senza lotte politiche e sindacali, senza indire referendum e senza un’ora di sciopero o di stato di agitazione.

In questo momento storico, la via giudiziaria si presenta come la più efficace arma a difesa dei lavoratori contro le scelte delle maggioranze parlamentari. I giudici sono lenti ma prima o poi arriva il severo esame sulla costituzionalità delle norme.

 

Il comma 7 dell’art 18 della legge Fornero del 2012 prima dell'intervento della Corte Costituzionale

Il comma 7 dell’art. 18 con i due interventi di censura della Corte Costituzionale del 2021 e del 2022

  1. Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo. 

 

  1. Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Applica altresì la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo. 

 

 

In allegato riportiamo il testo integrale della  sentenza della Corte Costituzionale.