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Alla Cassazione non si può chiedere di ricostruire i fatti in modo diverso dalla Corte di Appello

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20/10/2021

Le risultanze della CTU possono contestarsi solo se deviano dai canoni della scienza medico-legale

L'azienda intima ad un lavoratore il licenziamento per giusta causa perché gli ha contestato un'attività ritenuta non compatibile con la lombosciatalgia di cui soffriva ed in ogni caso idonea a pregiudicarne o ritardarne la guarigione. Il Tribunale di Roma ha respinto l'impugnazione del licenziamento del lavoratore mentre la Corte di Appello lo ha dichiarato illegittimo per totale insussistenza del fatto contestato, reintegrandolo nel posto di lavoro e condannando la società al pagamento del massimo dell'indennità risarcitoria quantificata nella misura di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto percepita. Nella causa sono stati sentiti vari testimoni ed è stata disposta una consulenza tecnica d'ufficio diretta ad accertare l'effettivo stato di morbilità del lavoratore.

La Corte di Appello, nell'accogliere la domanda del lavoratore, ha fatto proprie le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio che nella sua relazione peritale aveva ritenuto che le attività extra lavorative svolte dal lavoratore nel periodo di malattia, così come erano emerse dalle prove testimoniali raccolte, non avevano aggravato la patologia da cui era affetto -patologia realmente esistente, non simulata - né ritardato la guarigione. La guida dell'autovettura, del motociclo per brevi spostamenti o la pulizia di qualche bottiglia, non avevano inciso sul decorso della malattia e sui tempi normali della guarigione. La Corte di Appello ha affermato, peraltro, che dal complessivo quadro delle dichiarazioni testimoniali acquisite, è emerso che il lavoratore non aveva provveduto personalmente allo scarico dei pannelli isolanti per la copertura del ricovero per il cane alla quale si era in quel periodo dedicato, essendosi limitato nell'occasione a prestare una semplice assistenza a coloro che se ne occupavano. Il prolungamento della malattia rispetto alla certificazione medica rilasciata precedentemente dal medico era genuino dovendosi escludere una qualsiasi ipotesi di simulazione della gravità dello stato morboso.

 Contro la sentenza della Corte d'Appello ha proposto ricorso per Cassazione l'azienda dolendosi del fatto che la Corte d'Appello aveva trascurato un fatto dedotto e provato nella causa relativo al peso ed alla movimentazione dei pannelli in PVC utilizzati per la copertura del tetto del cane, come si evinceva dalle foto che aveva ritualmente prodotto in causa. L'azienda ha criticato l'interpretazione delle prove data dalla Corte di Appello laddove aveva escluso che lavoratore avesse provveduto personalmente allo scarico dei pannelli. Nel ricorso in Cassazione l'azienda ha anche contestato le conclusioni alle quali era pervenuto il consulente tecnico d'ufficio per non aver associato la ripresa della malattia alla prestazione lavorativa svolta dal ricorrente nella costruzione della tettoia nonostante che apparisse chiaro che non solo la mancanza del riposo ma anche il sovraccarico della sollecitazione esterna sul rachide, già compromesso, avessero comportato inevitabilmente la ripresa della sintomatologia dolorosa e, quindi, l'assenza dal lavoro. Le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, per l'azienda, erano da ritenersi assolutamente incompatibili con le altre risultanze probatorie. Per l’azienda la Corte di Appello ha mal interpretato e mal ricostruito i fatti della causa.

 La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell'azienda perché i motivi di impugnazione dedotti avanti ad essa si presupponevano inammissibili per le preclusioni imposte dalla legge. Si riporta, sul punto, l'ineccepibile motivazione della Cassazione che rimarca la sua assenza di potere nel ricostruire in modo diverso i fatti così come sono stati accertati dal giudice del merito. Per la Cassazione è vietato invocare in sede di legittimità un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché non ha la Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, essendo la valutazione degli elementi probatori attività istituzionalmente riservata al giudice di merito; non può, dunque, essere invocata una lettura delle risultanze probatorie difforme da quella operata dalla Corte territoriale, essendo la valutazione di quelle - al pari della scelta di quelle, tra esse, ritenute più idonee a sorreggere la motivazione - un tipico apprezzamento di fatto, riservato in via esclusiva al giudice del merito: il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza peraltro essere tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva ; nel sistema l'intervento di modifica dell'art. 360 c.p.c., n. 5, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un'ulteriore sensibile restrizione dell'ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto. Con esso si è invero avuta la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile; in tale contesto, il nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5, introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); tanto comporta che l'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; ne consegue che la ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito è ormai sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente incomprensibili; mentre non si configura un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ove quest'ultimo sia stato comunque valutato dal giudice, sebbene la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e quindi anche di quel particolare fatto storico, se la motivazione resta scevra dai gravissimi vizi appena detti; anche con riferimento alle critiche formulate avverso la CTU deve rammentarsi che le conclusioni del consulente tecnico di ufficio sulle quali si fonda la sentenza impugnata possono essere contestate in sede di legittimità se le relative censure contengano la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali che, in quanto tale, costituisce un vero e proprio vizio della logica medico - legale e rientra tra i vizi deducibili con il ricorso per Cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, ; nello specifico il vizio, nei sensi denunciati, non rientra nel paradigma devolutivo e deduttivo della novellata disposizione; i giudici di seconda istanza, come fatto cenno nello storico di lite, hanno recepito gli esiti degli accertamenti medico-legali dai quali era emerso che la malattia certificata e posta a giustificazione della assenza dal lavoro era realmente sussistente; che la modesta attività fisica compiuta dal ricorrente non aveva aggravato la patologia da cui era affetto il dipendente, per la cui remissione era ammissibile un arco temporale di trenta giorni dall'inizio della manifestazione dei sintomi; che il prolungamento dello stato di malattia non era stato simulato, e risultava accertato alla stregua delle certificazioni sanitarie versate in atti; le critiche formulate dalla società avverso siffatti argomentati accertamenti, si atteggiano in termini di semplici difformità di valutazione circa l'incidenza della presumibile attività svolta dal dipendente, con lo stato patologico denunciato; da ciò deriva, in definitiva, che i motivi in esame si traducono nell'invocata revisione dei convincimenti espressi dal giudice di merito, tesa a conseguire una nuova valutazione ed un diverso apprezzamento dei fatti, non concessa, perché estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità; discende dalle superiori argomentazioni, l'inammissibilità del ricorso."Cass. civ., sez. lav., ordinanza, 7 ottobre 2021, n. 27322.

Un gran numero di ricorsi in Cassazione subisce il destino della inammissibilità, come il caso esaminato, perché si ha la pretesa di rivendicare una diversa ricostruzione dei fatti, con una diversa valutazione delle prove raccolte nei precedenti gradi del giudizio. Ma la Cassazione su questa ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di Appello non ha alcun potere di intervento e di rivalutazione se non in limitatissimi casi specificatamente previsti dal codice.

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