03/01/2020
Per il suo interesse giuridico, riportiamo di seguito una pronuncia della Corte di Cassazione in una controversia tra l’azienda e il suo dirigente con un rapporto di lavoro regolamentato dal contratto collettivo dei dirigenti delle aziende metalmeccaniche industria.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con ricorso al Giudice del lavoro di Forlì il dott. XXX , premesso di essere stato dipendente della YYY. con inquadramento di dirigente responsabile del settore commerciale, impugnava il licenziamento dalla stessa irrogatogli in data 7.12.01.¨Sostenendo che il recesso era intervenuto all'esito di una progressiva opera di demansionamento posta in essere dall'amministratore unico della società, il XXX. richiedeva in via principale il risarcimento del danno da dequalificazione, la reintegrazione nelle sue funzioni ed il pagamento delle retribuzioni non corrisposte; in subordine chiedeva l'indennità di preavviso e l'indennità supplementare, nonchè la nullità del patto di non concorrenza, oltre la retribuzione non corrisposta per il periodo di sospensione cautelare, il t.f.r. e la 13.ma mensilità.2.- Proposta domanda riconvenzionale dal datore di lavoro per i danni che assumeva procurati dal comportamento del XXX., il Tribunale dichiarava la illegittimità del licenziamento, condannando il datore al pagamento dell'indennità di preavviso (11 mensilità) e dell'indennità supplementare (20 mensilità), oltre che al risarcimento del danno da demansionamento (Euro 8.760 per danno esistenziale a decorrere dal 2001).3.- Proposto appello principale da YYY. ed appello incidentale da XXX., la Corte d'appello di Bologna con sentenza del 9.09.10 accoglieva parzialmente entrambe le impugnazioni, da un lato negando il risarcimento del danno da demansionamento, dall'altro condannando YYY a pagare le somme di Euro 26.138, 876 a titolo di t.f.r. e di Euro 3.678,700 a titolo di 13.ma mensilità, peraltro già attribuite in corso di giudizio ex art. 423 c.p.c..â�¨La Corte riteneva il licenziamento tardivamente irrogato e, comunque, illegittimo nel merito, non risultando fondati gli addebiti formulali dal datore nei confronti del M., allo stesso tempo ritenendo insussistente il carattere discriminatorio del recesso da quest'ultimo rivendicato. La Corte escludeva altresì che il XXX. avesse tenuto atteggiamento o rilasciato dichiarazioni offensive nei confronti dell'amministratore unico e dei suoi figli e, pertanto, riteneva infondata anche la domanda di risarcimento danni al riguardo formulata dall'azienda.”
Nella controversia si dibatteva fra l’altro sull’osservanze del termine previsto dal contratto collettivo dei dirigenti delle aziende metalmeccaniche entro il quale l’azienda doveva comunicare Il licenziamento disciplinare. la Corte di Cassazione ha così proseguito e motivato.
“Ferma restando, dunque, l'applicabilità del contratto dei metalmeccanici, deve rilevarsi che per le sanzioni disciplinari diverse dal richiamo verbale (ivi compreso il licenziamento) l'art. 23, comma 3, della parte comune a operai ed impiegati del contratto prevede che, dopo la contestazione, debbono decorrere almeno cinque giorni prima del licenziamento (nel corso dei quali l'incolpato può presentare le sue giustificazioni) e che, comunque, il licenziamento stesso deve essere comminato entro sei giorni dalla presentazione delle difese del lavoratore (comma 4). Il termine massimo ipotizzabile è, dunque, quello di undici giorni dalla contestazione dell'addebito, che nel caso di specie il giudice di merito ritiene non rispettato, atteso che a fronte di contestazione scritta del 23.11.01, il licenziamento era stato irrogato il 7.12.01 (ovvero 14 giorni dopo).”
Corte di cassazione-sezione lavoro, numero 4715 del 27/02/2014