11/12/2018
Un lavoratore promuove un’azione risarcitoria chiamando avanti il tribunale, il suo datore di lavoro, la Ansaldo Breda spa, perché venisse condannata al risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una condotta di mobbing. La domanda è stata respinta sia dal tribunale che dalla Corte di Appello perché l’attività istruttoria espletata dal tribunale aveva smentito l’esistenza di ogni volontà persecutoria da parte dell’azienda. La cassazione, da parte sua, ha ribadito che “ per la configurabilità del mobbing lavorativo debbono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; ) l'evento lesivo della salute, della personalità̀ o della dignità̀ del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità̀ psico-fisica e/o nella propria dignità̀; d) l'elemento soggettivo, cioè̀ l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi “. La sentenza ribadisce principi già affermati in modo uniforme dalla stessa corte che anche in questo caso non si è discostata da quei principi.
Cassazione sentenza n. 31877 pubblicata il 10 dicembre 2018.
Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi
Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).
La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.
L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003).