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Chiamalo come vuoi ma resta sempre quello che è

Per qualificare un rapporto di lavoro vale la realtà e non il nome utilizzato dalle parti

La Sampietro spa di Como è stata convenuta avanti il tribunale da una sua collaboratrice perché fosse accertata la natura subordinata della prestazione lavorativa anche per i due anni in cui il rapporto di lavoro era stato qualificato formalmente come contratto di lavoro ad intermittenza. La corte di appello ha accolto la domanda. La società ha fatto ricorso in Cassazione chiedendo la riforma della decisione su questa riqualificazione giuridica del rapporto di lavoro. La Cassazione però ha respinto l’impugnazione aziendale riaffermando il principio giuridico secondo il quale la realtà del rapporto tra le parti, nelle sue modalità estrinsecative, prevale su ogni e qualsiasi qualificazione formale e giuridica che le parti stesse hanno voluto dare al loro rapporto contrattuale. In termini semplici e immediati, con immagine bucolica, possiamo così tradurre il ragionamento giuridico: La zucca resta sempre zucca, anche se le parti hanno deciso di chiamarla cetriolo, e va cucinata e trattata sempre come zucca.

Per la chiarezza e la semplicità con le quali il principio è stato recentemente riaffermato dalla cassazione, riportiamo la motivazione della sentenza nella parte di nostro interesse. "il giudice, …, ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un nomen iuris diverso da quello indicato dalle parti, purché non sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificando i fatti costitutivi e fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio. Nel caso di specie, i giudici di secondo grado non hanno introdotto nel processo una causa petendi diversa da quella enunciata dalla parte a sostegno della domanda, ma, facendo corretta applicazione del principio iura novit curia di cui ARTICOLO 113  cpc. primo comma, da porre in immediata correlazione con quello sancito al precedente articolo, hanno assegnato una diversa qualificazione giuridica ai rapporti dedotti in lite ed all'azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla fattispecie (cfr., tra le altre, Cass. nn. 13945/2012; 25140/2010; 18249/2009) ed effettuando, appunto, una operazione di qualificazione giuridica del rapporto, correttamente e motivatamente ritenuto di lavoro subordinato a tempo indeterminato anche relativamente al periodo successivo al 30.11.2006 e sino al 31.07.20017, durante il quale lo stesso era stato formalizzato come contratto ad intermittenza. Ciò precisato, è da aggiungere che, in ordine alla questione relativa alla qualificazione del rapporto contrattualmente operata dalle parti, alla stregua dell'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, onde pervenire alla identificazione della natura del rapporto di lavoro, non si può prescindere dalla ricerca della volontà delle parti, dovendosi tra l'altro tener conto del relativo reciproco affidamento e di quanto dalle stesse voluto nell'esercizio della loro autonomia contrattuale. Pertanto, il nomen iuris eventualmente assegnato dalle parti al contratto non è vincolante per il giudice ed è comunque sempre superabile in presenza di effettive, univoche, diverse modalità di adempimento della prestazione, essendo il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto elemento necessario non solo ai fini della sua interpretazione (ai sensi dell'art. 1362 cod. civ, secondo comma, c.c.), ma anche ai fini dell'accertamento di una nuova e diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso dell'attuazione del rapporto medesimo e diretta a modificare singole sue clausole, e talora la stessa natura del rapporto lavorativo inizialmente prevista. Del resto, come è stato osservato, il ricorso al dato della concretezza e della effettività appare condivisibile anche sotto altro angolo visuale, ossia in considerazione della posizione debole di uno dei contraenti, che potrebbe essere indotto ad accettare una qualifica del rapporto diversa da quella reale pur di garantirsi un posto di lavoro (al riguardo, e per ciò che più specificamente attiene agli indici di subordinazione, cfr. Cass. n. 7024/2015). “

Cassazione sentenza n. 16939 pubblicata il 27 giugno 2018.