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Licenziamento: Un balletto giudiziario tra accoglimenti e rigetti

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01/10/2018

Ma i tempi processuali dopo 12 mesi scorrono a discapito del lavoratore e senza danni per l'azienda

Un lavoratore ricorre in tribunale per ottenere che dichiari l'illegittimità del licenziamento irrogatogli in relazione ai reati di maltrattamenti in famiglia ed estorsione nei confronti di prossimo congiunti, sul presupposto della estraneità dei fatti contestatigli in relazione alle mansioni lavorative svolte; Il tribunale gli dà torto. Il lavoratore propone opposizione e lo stesso Tribunale di Lanciano, accogliendo la sua opposizione, ha annullato il licenziamento comminato, condannando la società alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al risarcimento del danno commisurato a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, nonché alla regolarizzazione contributiva previdenziale ed assistenziale; con la sentenza n. 744/2016 la Corte di appello di L'Aquila ha accolto il reclamo dell’azienda e, in riforma della pronuncia impugnata, ha confermato la ordinanza emessa dal primo giudice, dichiarando la legittimità dell'intimato licenziamento perché la oggettiva gravità e odiosità dei fatti contestati ed il discredito cagionato all'azienda anche al suo interno, tra gli altri lavoratori, avevano determinato il grave nocumento morale richiesto dalla disposizione del contratto collettivo ai fini della possibilità di adottare la sanzione espulsiva senza preavviso.

Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione. Il procuratore generale presso la Cassazione ha formulato richieste scritte, concludendo per il rigetto del ricorso.

La Cassazione accogliendo il ricorso del lavoratore ha annullato la sentenza rinviando ad altra corte di appello perché riesamini il caso in modo corretto secondo il seguente principio al quale deve attenersi.

“Quando il grave nocumento morale e materiale è parte integrante della fattispecie (come in questo caso ove il provvedimento di licenziamento per giusta causa è stato intimato ex artt. 2119 cc e 32 Titolo III del contratto collettivo), occorre l'accertamento sulla sua sussistenza, quale elemento costitutivo che osta al diritto al ripristino del rapporto. Nella sentenza impugnata, invece, manca ogni accertamento sui fatti costituenti l’esistenza di un grave danno all'impresa in quanto vengono richiamati unicamente «l'oggettiva gravità ed odiosità dell'episodio contestato e il discredito cagionato all'azienda anche al suo interno», senza ancorare però tali affermazioni ad alcun elemento concreto che dimostri la consistenza del predetto nocumento. Tale lacuna impedisce, quindi, di sussumere correttamente la fattispecie concreta in quella astratta prevista dalla contrattazione collettiva: di qui la fondatezza della dedotta violazione di legge” .

Le decisioni si sono alternate, l'una in contrasto con l’altra. Al momento finale, però, l’azienda, contrariamente a quanto avveniva prime della legge Fornero del 2012, non potrà essere condannata a un risarcimento superiore a 12 mesi. I tempi di gestione della giustizia scorrono interamente a carico del lavoratore.

Ordinanza cassazione Sez. Lavoro Num. 23602 Anno 2018 Data pubblicazione: 28/09/2018

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