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Attenti al linguaggio che urta la sensibilità di collega donna: si rischia il posto di lavoro.

Lo dice la Corte di Appello di Milano, presidente il giudice Picciau

(english Version).

L’azienda ha contestato ad un lavoratore di aver effettuato due telefonate inappropriate alla presenza di una collega di stanza. Il contenuto della contestazione di addebito era così formulato dall’azienda: “Nel corso della prima telefonata, Lei, incurante della presenza della sua collega nella stanza, con tono della voce tale da rendere chiaramente comprensibile il tenore della sua conversazione ai presenti, ha detto testualmente: “ Questo lavoro mi fa schifo, aspetto di andare via da questo reparto “ e poi ha proseguito “ esco alle 15,00 , per le 16,00 sono a casa e facciamo sesso estremo“. Successivamente , dopo essersi assentato dalla stanza per qualche minuto, Lei, sempre incurante della presenza della sua collega, ha effettuato una seconda telefonata dal telefono fisso aziendale, nel corso della quale ha proferito le seguenti espressioni “ sono in macchina, se vuoi approfittarne andiamo al motel. Io preferisco quello con la doccia quadrangolare “ specificando “ non mi importa se non hai l’intimo adatto“; quindi ha chiesto alla destinataria della telefonata se avesse la webcam del PC aziendale attiva e l’ha invitata a “ spostarsi il maglione per vedere cosa c ‘era sotto “, precisando, infine, all’interlocutore“ non sono in ufficio da solo“.

Con riferimento ai fatti così enucleati l'azienda ha contestato al lavoratore:

"di avere pronunciato frasi dal tenore oggettivamente contrario al normale senso del pudore, sul luogo del lavoro e alla presenza della sua collega di stanza; di avere conseguentemente tenuto un comportamento irriguardoso nei confronti della sua collega; di avere utilizzato in modo improprio gli strumenti aziendali a lei assegnati per lo svolgimento dell’attività lavorativa. I comportamenti da lei tenuti, anche singolarmente considerati, costituiscono grave inadempimento delle normali regole del vivere civile, nonché di quanto disposto dal vigente CCNL, dal vigente codice etico e dai doveri di diligenza, osservanza, buona fede, correttezza e collaborazione che le derivano dal rapporto di lavoro…”.

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento avanti al tribunale di Milano che lo ha dichiarato illegittimo, disponendo la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento dei danni, con la condanna del datore di lavoro al pagamento delle spese processuali. Contro la sentenza ha proposto appello l’azienda. La corte di appello di Milano, riformando la sentenza, ha confermato la illegittimità del licenziamento ma non ha riconosciuto il diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro, condannando così l’azienda solo al pagamento dell’indennità risarcitoria pari a 18 mensilità di retribuzione ma senza più il posto di lavoro. Le spese processuali dell’appello sostenute dal lavoratore sono state poste a carico del lavoratore mentre quelle di primo grado sono state compensate.

Il presidente relatore della Corte di Appello ha aspramente criticato il comportamento del lavoratore: " Tale condotta, tenuto conto anche della qualifica di quadro rivestita ..., appare oggettivamente grave, contravvenendo macroscopicamente ad elementari regole di correttezza, di educazione e di rispetto che deve improntare la condotta del dipendente sul luogo di lavoro e nel rapporto con gli altri colleghi; tali regole di rispetto, di correttezza e di educazione appaiono, senza alcun freno inibitorio, disattese nella fattispecie, tenuto conto della natura delle espressioni utilizzate e delle riferite circostanze del caso concreto gratuitamente subite  (dalla lavoratrice presente in stanza ndr): la donna ha riferito di aver potuto solo in quel momento, “ incassare il colpo “. Ritiene tuttavia la Corte che nella fattispecie, nonostante la oggettiva gravità dei fatti, la misura espulsiva per giusta causa adottata dalla società debba tuttavia ravvisarsi non proporzionata; in tal senso il Collegio ritiene debba darsi rilievo in particolare all’assenza di precedenti disciplinari nel corso della precedente durata del rapporto di lavoro. Ritiene inoltre il Collegio che la vicenda, per la sua peculiarità, reiterazione ed unitarietà, per il tenore erotico – sessuale delle espressioni utilizzate, per il contestuale utilizzo dei mezzi aziendali, non si presti ad essere segmentata ed incasellata in alcuna delle previsioni per le quali l’art. 39 CCNL di settore prevede mere sanzioni conservative. Osserva la Corte che la violazione di elementari regole del vivere civile sul luogo di lavoro ( così come giustamente contestato dalla società ) e di elementari principi di rispetto di una collega di lavoro, nei suoi valori di persona ed anche di donna, non si presti ad essere inquadrata nelle previsioni di cui alle lettere a ed n del CCNL del settore; in altri termini la unitaria e peculiare vicenda non può essere ricondotta al mero uso improprio di strumenti aziendali ovvero ad una mera mancanza alla morale o alla persona. Ne consegue che il ravvisato difetto di proporzionalità rende applicabile nella fattispecie la tutela prevista per “ le altre ipotesi “ di cui all’art. 18, comma 5 legge 300/1970. ( cfr. fra le altre Cass 23369/2014; 10019/2016; 13178/2017)." Da tutto questo solo il risarcimento dei danni ma senza la reintegrazione nel posto di lavoro.

Corte di appello di Milano. Giudice relatore Picciau.  Sentenza n. 41/2018 pubbl. il 12/01/2018

 

 

Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi

Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).

 La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.

 L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003). 

ARTICOLO 2119 codice civile. Recesso per giusta causa. Il datore di lavoro o il lavoratore  possono recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità sostituiva del preavviso.

ART. 18 dello statuto dei lavoratori. Tutela del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare illegittimo. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.

ARTICOLO 2118 codice civile. Recesso dal contratto a tempo indeterminato. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità.

In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

 

Art. 18 dello statuto dei lavoratori : licenziamento illegittimo ma con il solo diritto ad una indennità risarcitoria, senza reintegrazione nel posto di lavoro. Il giudice, nelle altre  ipotesi (il fatto sussiste ed è stato commesso dal lavoratore) ma in cui accerta che non ricorrono comunque gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.