27/07/2017
Con ricorso al tribunale, un dipendente ha agito nei confronti del datore di lavoro chiedendo il risarcimento dei danni subiti per non essere stato riammesso in servizio con l'attribuzione delle medesime mansioni in precedenza svolte. Il tribunale accoglieva la domanda riconoscendo l'esistenza del danno biologico ed esistenziale. La corte d'appello confermava la sentenza affermando che il danno esistenziale lamentato dal lavoratore si configurava come un "danno presunto" che non aveva necessità di ulteriori elementi di prova.
La corte di cassazione, ha ribaltato la decisione dei giudici di merito affermando il seguente principio: " La liquidazione equitativa della componente esistenziale del danno alla persona presuppone la allegazione in concreto e la prova da parte del lavoratore del complessivo peggioramento della qualità della vita, sul piano delle relazioni umane e del contesto familiare sicché non è configurabile un danno implicito nella mancanza di lavoro ma spetta all’interessato allegare precisi elementi di fatto e fornire la prova del danno, anche avvalendosi di presunzioni (in termini: Cassazione civile, sez. lav., 25/08/2014, n. 18207).
La Corte di merito, affermando che la componente esistenziale del danno non patrimoniale si configura come danno presunto, di cui il lavoratore non deve fornire la prova concreta, non si è attenuta all’indicato principio di diritto."
Il lavoratore, evidentemente, nel suo principale atto difensivo, rappresentato dal ricorso depositato avanti il tribunale, è stato omissivo nell'indicare gli elementi in fatto che dovevano costituire il lamentato danno esistenziale conseguente alla dequalificazione subita.