27/11/2016
La Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con la sentenza n. 24029/16, depositata il 24 novembre, ha ribadito i requisiti necessari perché si possa parlare di comportamento del datore di lavoro configurante il mobbing contro il dipendente. Il principio è stato così sintetizzato:
"Ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria dignità; d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi". La cassazione ha affermato questo principio richiamando anche il suo precedente rappresentato dalla sentenza del 6.8.2014 n. 17698.