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Condannati 2 lavoratori per concorrenza sleale, ma assolta la terza società che non ha istigato i dipendenti alla violazione degli obblighi di fedeltà

Due dipendenti di una società, fanno costituire un'altra società alle rispettive mogli perché intraprenda un'attività commerciale direttamente in concorrenza con il proprio datore di lavoro. I mariti, attraverso i loro contatti personali, utilizzando le conoscenze di cui godevano in virtù dell'attività lavorativa svolta, hanno iintessuto un'attività di concorrenza sleale sottraendolo all'azienda l'intero portafoglio dei clienti che deteneva una terza società che operava nel settore delle agenzie di viaggio e che fungeva da punto di raccolta della clientela. Il tribunale condannava i 2 dipendenti e la società costituita dalle mogli al risarcimento dei danni per concorrenza sleale mentre mandava assolta la terza società. I lavoratori sono stati condannati per violazione dell'obbligo di fedeltà poiché la loro attività concorrenziale si era svolta in costanza di rapporto di lavoro subordinato. La corte di appello confermava il rigetto di ogni domanda risarcitoria proposta contro la società che faceva da punto di raccolta della clientela perché era stata ritenuta estranea all'attività di concorrenza sleale.

La terza società è stata esclusa da ogni forma di responsabilità perché non è risultato che si sia appropriata di notizie riservate relative all'attività imprenditoriale della società danneggiata nè è risultato che la stessa abbia in qualche modo istigato i lavoratori all'inadempimento dell'obbligo di fedeltà; questa società semplicemente "risulta essere stata il veicolo dell'inadempimento dell'obbligo di fedeltà" ma non una concorrente diretta della violazione di questo obbligo. Il principio giurisprudenziale affermato dalla corte di cassazione è stato così sintetizzato: "un imprenditore non pone in essere atti contrari alla legittima concorrenza per il solo fatto di avvalersi della collaborazione di soggetti che hanno violato l’obbligo di fedeltà nei confronti del loro datore di lavoro, essendo necessario, a tal fine, che il terzo si appropri, per il tramite del dipendente, di notizie riservate nella disponibilità esclusiva del predetto datore di lavoro, ovvero che il terzo istighi o presti intenzionalmente un contributo causale alla violazione dell’obbligo di fedeltà cui il dipendente stesso è tenuto."
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 13550/17; depositata il 30 maggio.

Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi

Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).

 La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.

 L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003). 

ARTICOLO 2119 codice civile. Recesso per giusta causa. Il datore di lavoro o il lavoratore  possono recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità sostituiva del preavviso.

ART. 18 dello statuto dei lavoratori. Tutela del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare illegittimo. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.

ARTICOLO 2118 codice civile. Recesso dal contratto a tempo indeterminato. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità.

In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

 

Art. 18 dello statuto dei lavoratori : licenziamento illegittimo ma con il solo diritto ad una indennità risarcitoria, senza reintegrazione nel posto di lavoro. Il giudice, nelle altre  ipotesi (il fatto sussiste ed è stato commesso dal lavoratore) ma in cui accerta che non ricorrono comunque gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.