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Accedere con abuso a Internet, si rischia di perdere il posto di lavoro.

Gli accessi non erano pertiennti con l'attività lavorativa

Il fatto: un dipendente è stato licenziato per aver abusato in modo considerevole della connessione ad internet con il suo computer aziendale; era risultato che per ben due mesi aveva utilizzato il computer per connettersi a siti di internet con accessi del tutto estranei all'attività aziendale. La corte di appello ha dichiarato la illegittimità del licenziamento, senza però disporre la reintegrazione nel posto di lavoro, ma condannando il datore di lavoro al solo risarcimento del danno nella misura di 20 mensilità della retribuzione globale di fatto percepita.

La sentenza è stata impugnata avanti la corte di cassazione dal lavoratore, sostenendo il suo diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro. Uno degli argomenti posti a sostegno del ricorso in cassazione era che nella fattispecie doveva essere ritenuto sussistente l'illecito controllo a distanza dell'attività lavorativa, con la inutilizzabilità di ogni prova acquisita a suo carico.

La corte di cassazione ha respinto questo punto del gravame sostenendo che: " Si deve, in ogni caso, precisare che è controllo a distanza, ai sensi dell’art. 4 l. n. 300 del 1970, l’attività che abbia ad oggetto la prestazione lavorativa e il suo esatto adempimento, restando esclusa dal campo di applicazione della norma quella che sia volta a individuare la realizzazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente, idonei a ledere il patrimonio aziendale sotto il profilo della sua integrità e del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti (cfr. da ultimo Cass. n. 10955/2015.)" Il  controllo cronologico e a posteriore sul computer, che fornisce i dati di accesso ai siti di Internet, non costituisce controllo a distanza sulla persona del lavoratore e sull'attività lavorativa. È strumento di controllo della sicurezza degli impianti e del suo corretto utilizzo.

 Nel sostenere la correttezza della pronuncia della sentenza della corte di appello, la corte di cassazione, esaminando i fatti, non ha potuto non rilevare che "… il giudice di merito ha posto in rilievo come ci si trovi di fronte, nella specie, "ad un utilizzo della dotazione aziendale per fini personali non sporadica e/o eccezionale, bensì sistematica in considerazione della frequenza (complessivamente 27 connessioni), della durata dell’accesso (complessivamente 45 ore) e dello scambio di dati di traffico (migliaia di kbyte)" e come tale condotta integri con evidenza un utilizzo indebito dello strumento aziendale non solo "reiterato" ma anche, e di conseguenza, "intenzionale". Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 24 gennaio – 15 giugno 2017, n. 14862.

 La sentenza della cassazione merita sicura adesione ai principi affermati anche perché i giudici di merito sono stati generosi con il lavoratore avendo configurato l'illegittimità del licenziamento sia pur senza la reintegrazione nel posto di lavoro con il solo risarcimento dei danni nella misura di 20 mesi di retribuzione e il pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso.

 

Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi

Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).

 La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.

 L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003). 

ARTICOLO 2119 codice civile. Recesso per giusta causa. Il datore di lavoro o il lavoratore  possono recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità sostituiva del preavviso.

ART. 18 dello statuto dei lavoratori. Tutela del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare illegittimo. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.

ARTICOLO 2118 codice civile. Recesso dal contratto a tempo indeterminato. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità.

In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

 

Art. 18 dello statuto dei lavoratori : licenziamento illegittimo ma con il solo diritto ad una indennità risarcitoria, senza reintegrazione nel posto di lavoro. Il giudice, nelle altre  ipotesi (il fatto sussiste ed è stato commesso dal lavoratore) ma in cui accerta che non ricorrono comunque gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.