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Il dipendente non può promuovere la vendita della biancheria intima all'interno dei locali aziendali.

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29/05/2017

Un impiegato, con mansioni di area manager ha avuto la contestazione di diversi fatti di rilievo disciplinare: avere portato sul luogo di lavoro per commercializzarli capi di biancheria intima; essersi recato in due occasioni durante l’orario di lavoro presso l’esercizio commerciale gestito da un'altra società, della quale era socio; avere timbrato in entrata il cartellino marcatempo oltre le ore 9:30 in 13 giorni diversi.
Il tribunale ha ritenuto il licenziamento disciplinare legittimo; la corte di appello, di parere opposto, lo ha dichiarato illegittimo disponendo la reintegrazione nel posto di lavoro. L'azienda ha fatto ricorso in cassazione.
La corte di cassazione ha riformato la sentenza affermando il seguente principio:
"l’obbligo di fedeltà impone al lavoratore di astenersi dal porre in essere, non solo i comportamenti espressamente vietati dall’art. 2105 cod. civ., ma anche qualsiasi altra condotta che risulti in contrasto con i doveri connessi all’inserimento nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o crei una situazione di conflitto con gli interessi del datore di lavoro (Cass. 9.1.2015 n. 144). Lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di lavoro, seppure in un settore non interferente con quello curato dal datore, è astrattamente idoneo a ledere gli interessi di quest’ultimo, se non altro perché le energie lavorative del prestatore vengono distolte ad altri fini e, quindi, finisce per essere non giustificata la corresponsione della retribuzione che, in relazione alla parte commisurata alla attività non resa, costituisce per il datore un danno economico e per il lavoratore un profitto ingiusto (in tal senso Cass. 5.5.2000 n. 5629)." (Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 13199/17; depositata il 25 maggio).
Per la corte di cassazione "il giudice di appello non ha correttamente applicato il principio di diritto, ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "in tema di licenziamento per giusta causa, nel giudicare se la violazione disciplinare addebitata al lavoratore abbia compromesso la fiducia necessaria ai fini della permanenza del rapporto di lavoro, e quindi costituisca giusta causa di licenziamento, va tenuto presente che è diversa l’intensità della fiducia richiesta, a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell’oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono, e che il fatto concreto va valutato nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante, ai fini in esame, alla potenzialità del medesimo di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento" (Cass. 12.12.2012 n. 22798 e negli stessi termini, quanto alla rilevanza di ogni comportamento che sia in grado di scuotere la fiducia del datore di lavoro".

 

nella foto: opera di Salvatore Fiume, il mercante di stoffe. Comiso 1915-Milano 1997. Pittore, scultore e scenografo.

 

Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi

Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).

 La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.

 L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003). 

ARTICOLO 2119 codice civile. Recesso per giusta causa. Il datore di lavoro o il lavoratore  possono recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità sostituiva del preavviso.

ART. 18 dello statuto dei lavoratori. Tutela del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare illegittimo. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.

ARTICOLO 2118 codice civile. Recesso dal contratto a tempo indeterminato. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità.

In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

 

Art. 18 dello statuto dei lavoratori : licenziamento illegittimo ma con il solo diritto ad una indennità risarcitoria, senza reintegrazione nel posto di lavoro. Il giudice, nelle altre  ipotesi (il fatto sussiste ed è stato commesso dal lavoratore) ma in cui accerta che non ricorrono comunque gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.