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Il giornalista inserito stabilmente nell’azienda è un lavoratore subordinato

A nulla vale la diversa qualificazione attribuita dalle parti

La questione, originata dalla cessazione del rapporto di lavoro fra una giornalista ed il giornale nazionale presso il quale lavorava, è stata rimessa all’esame del Tribunale, che in primo grado ha accertato la natura subordinata della prestazione, condannando l’azienda al pagamento delle differenze retributive ed alla reintegra della lavoratrice nel posto di lavoro, in considerazione dell’illegittimità del licenziamento. La pronuncia è stata impugnata dal giornale la Corte d’Appello, accogliendo parzialmente la domanda di gravame, ha accertato la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, respingendo ogni altra doglianza. Nel pervenire a tali conclusioni, il giudice d’appello ha osservato che le effettive modalità di svolgimento ed i contenuti della attività lavorativa espletata dalla giornalista deponevano nel senso della sussistenza di un vincolo di dipendenza fra le parti, correlato alla continuità della prestazione, alla quotidianità della presenza in redazione, alla responsabilità del servizio, alla sottoposizione della attività giornalistica al controllo da parte del capo servizio. Il quotidiano ha, quindi, adito la Suprema Corte, lamentando la non corretta valutazione da parte dei giudici tanto del rapporto di lavoro, da ricondurre ad una locatio operis, quanto dell’intervenuto riconoscimento della qualifica di redattore ordinario, con relativo trattamento economico e normativo.

In punto di diritto, in ordine al rilievo del nomen iuris attribuito dalle parti al rapporto, si è osservato come sia principio risalente che la volontà negoziale non ha il potere di qualificare giuridicamente i rapporti posti in essere, trattandosi di compito riservato al giudice; nello specifico, il giudice d’appello, sulla premessa che il rapporto di lavoro giornalistico si caratterizza per il peculiare carattere intellettuale e creativo della prestazione, ha rimarcato come la natura subordinata del rapporto possa essere riconosciuta a quell'attività che per ampiezza di prestazioni ed intensità della collaborazione, comporti l'inserimento stabile del lavoratore nell'assetto organizzativo aziendale, costituendo aspetti qualificanti la continuità della prestazione e la responsabilità del servizio, non rilevando, in contrario, il notevole grado di autonomia con cui la prestazione viene svolta. La Corte d’Appello aveva ritenuto smentita la tesi di parte appellante relativa alla natura autonoma della collaborazione prestata dalla lavoratrice, essendo emerso con chiarezza un vincolo di dipendenza. Deve quindi affermarsi che la sentenza impugnata si colloca nel solco dell’orientamento dominante della Cassazione (vedi ex aliis, Cass. 2 aprile 2009 n. 8068) che, “in tema di attività giornalistica, siano configurabili gli estremi della subordinazione - tenuto conto del carattere creativo del lavoro - ove vi sia lo stabile inserimento della prestazione resa dal giornalista nell'organizzazione aziendale così da poter assicurare, quantomeno per un apprezzabile periodo di tempo, la soddisfazione di un'esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche, con permanenza, nell'intervallo tra una prestazione e l'altra, della disponibilità del lavoratore alle esigenze del datore di lavoro”. Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la natura subordinata della prestazione resa dalla giornalista.

 

Nella foto: dalla Biennale di Venezia 2015. Il padiglione del Vaticano

Il potere disciplinare del datore di lavoro

  Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. La multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni. In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa. Articolo 7 dello statuto dei lavoratori

La contestazione non può essere ripetuta.

Si deve  escludere che il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, lo possa esercitare una seconda volta per quegli stessi fatti, in quanto ormai consumato: essendogli consentito soltanto di tener conto delle sanzioni eventualmente applicate, entro il biennio, ai fini della recidiva, nonché dei fatti non tempestivamente contestati o contestati ma non sanzionati per la globale valutazione, anche sotto il profilo psicologico, del comportamento del lavoratore e della gravità degli specifici episodi addebitati. Sentenza Cassazione del 30 gennaio 2018.  

Impugnazione della sanzione. Ferma restando la facoltà di adire l'autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi la costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio. Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio. Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione. Art 7 dello Statuto dei lavoratori