28/05/2015
Il tribunale accoglieva la domanda di un lavoratore di reintegrazione nel posto di lavoro e di condanna del datore di lavoro al pagamento dell'indennità risarcitoria, dando atto che alcuna detrazione di "aliunde perceptum" poteva esser fatta in quanto dalla documentazione prodotta dal lavoratore risultava che egli non aveva reperito altra occupazione. La Corte d'appello ha accolto parzialmente l'appello e, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato che dall'indennità commisurata alle retribuzioni globali di fatto come riconosciuta dalla sentenza di primo grado deve essere detratta l'indennità sostitutiva del preavviso per l'importo di Euro 12,520,50La corte di cassazione chiamata a prouninciarsi se l’indennità sostitutiva del preavviso doveva essere detratto oppure dnella quantificazione del risarcimento ha pronunciato il seguente principi: L’aliunde perceptum, detraibile dall'indennità risarcitoria spettante, ex art. 18 l. n. 300 del 1070, al lavoratore illegittimamente licenziato in regime di tutela reale ed il cui rapporto di lavoro sia stato ricostituito senza soluzione di continuità, consiste in quelle utilità, patrimonialmente valutabili, che derivano al lavoratore in ragione del liberarsi di energie lavorative a causa della perdita del posto di lavoro. Vi rientrano tipicamente, ma non esclusivamente, le retribuzioni percepite in altra attività lavorativa che il lavoratore licenziato avvia potuto svolgere dopo la estromissione dal posto di lavoro, avendo egli trovato altra occupazione. Quindi non rientrano nell'aliunde perceptum quanto il lavoratore percepisce non già per aver impiegato le sue energie lavorative liberatesi per l'avvenuta estromissione dal posto di lavoro, bensì sulla base della disciplina del rapporto, proprio quale effetto naturale del recesso datoriale e della risoluzione del rapporto di lavoro: il trattamento di fine rapporto ed eventualmente anche l'indennità sostitutiva del preavviso non lavorato; emolumenti questi il cui pagamento da parte del datore di lavoro risulta indebito una volta accertata la illegittimità del licenziamento e ricostituita la continuità del rapporto di lavoro in regime di tutela reale, al pari dell'eventuale trattamento pensionistico (Cass., sez. lav., 23 gennaio 2009, n. 1707; Cass., sez. lav., 16 aprile 2008, n. 9988) o di mobilità (Cass., sez. lav., 28 aprile 2010, n. 10164). (Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 10836/15; depositata il 26 maggio)
Nella foto: opera di Renato Guttuso (Bagheria 26 dicembre 1911 –Roma 18 gennaio 1987). è stato protagonista della pittura sociale e neorealista raffigurando il mondo del lavoro. Parlamentare comunista, insignito del Premio Lenin per la Pace. Visse la sua parabola dalla rivoluzione bolvescica del 1917 al crollo del muro di Berllino del 1989.
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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo